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Moti aquilani:fu assalto a sedi partiti e case politici

Drammatici assedio al Pci e devastazione abitazione Fabiani (Dc)

di Adam Hanzelewicz (ANSA) - PESCARA, 26 FEB -La rabbia degli aquilani per lo 'svuotamento' delle prerogative di città capoluogo, contenuto nell'articolo 2 dello Statuto della neo costituita Regione Abruzzo, portò la città ad una vera a propria rivolta che risale a 50 anni fa, a partire dalla notte tra il 26 e il 27 febbraio: la folla in strada, alcune migliaia di persone secondo le cronache dell'epoca, si sfogò con assalti alle sedi dei partiti e alle abitazioni di alcuni esponenti politici. Particolarmente drammatici furono l'assedio alla sede del Pci e la devastazione dell'abitazione dell'allora segretario provinciale della Dc, Luciano Fabiani, visitata più volte dai rivoltosi. L'assalto ai danni della sede del Pci durò alcune ore perchè i militanti presenti si erano chiusi dentro e rifiutavano di uscire come invece avevano fatto i funzionari di partito delle altre sedi assalite e devastate. A partire dalle 9.40 cominciò un assedio che si divise in tre fasi secondo le testimonianze dell'epoca: prima un centinaio di persone tenta di entrare, ma trova la porta d'ingresso sbarrata e protetta da un'inferriata. Allora alcune persone tentano l'assalto dall'esterno, arrampicandosi sul balcone prospiciente Piazza Palazzo e spaccano i vetri di due finestre, distruggendo l'emblema ed una insegna del Pci. Segue un periodo di pausa durante la quale si devastano le altre sedi dei partiti: poi i rivoltosi tornano più numerosi ad assediare la sede del Pci, cercando anche di convincere i militanti - in contatto telefonico con l'allora segretario regionale Claudio Petruccioli che si era a Pescara - ad abbandonare la sede garantendo l'incolumità a tutti. L'ultima fase di assedio porta alla minaccia di appiccare il fuoco nel locale caldaie, che ormai era accessibile ai manifestanti, provocandone l'esplosione: a quel punto il questore Introna fa da intermediario tra i manifestanti e gli assediati, trattando con il deputato Cicerone e il consigliere regionale Brini, ottenendo l'uscita dei militanti - senza che fossero toccati dai rivoltosi - e dando il via libera alla devastazione e incendio della sede. L'abitazione di Luciano Fabiani, segretario provinciale dell'Aquila della Dc, venne visitata più volte dai manifestanti, che scrissero anche sui muri della città un lugubre 'Morte e Fabiani', che fa capire la rabbia e la tensione di quelle ore convulse. Fabiani fu salvato dalla sua seconda grande passione, il teatro, che lo portò fuori città per una prima rappresentazione del Tsa a Tolentino: la moglie e i figli erano invece fortuitamente a Firenze da uno zio; uniche ad assistere allo scempio, scappate dopo la prima visita con sassaiola, la madre e la sorella di Fabiani. "Nel salone di ingresso c'era la porta a vetri spaccata, la grande libreria bruciata con la benzina e il pianoforte squassato", racconta così Federico Fiorenza - andato a controllare casa Fabiani per conto di Luciano, nascosto a Lucoli perché bersaglio dei manifestanti - : c'erano poliziotti e carabinieri che presidiavano la casa, poiché il vicepresidente del Consiglio regionale veniva accusato di aver svenduto il capoluogo. Passava per il traditore pubblico, attirando l'attenzione di tutti i giornali nazionali e locali".. (ANSA).
   

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