Una vita intensa quella vissuta da Marta Marzotto, scomparsa a Milano a 85 anni: amori, tradimenti ("Nella mia infedeltà - disse una volta - ero fedelissima, sono stata un'ottima moglie"), vicende giudiziarie, salotti e scandali. Cinque figli, un marito aristocratico (il conte Umberto Marzotto, di cui ha conservato il cognome anche dopo il divorzio), due grandi amori (Renato Guttuso e Lucio Magri) e tanti ammiratori, tra i quali anche Sandro Pertini. Un'infanzia e un'adolescenza difficili - nasce a Reggio Emilia il 24 febbraio 1931 - tra le risaie della Lomellina, dove inizia a lavorare giovanissima, come mondina seguendo le orme della madre ("Mi fasciavo le gambe con le pezze per proteggermi dalle foglie taglienti del riso e dalle punture di zanzare. Le bisce d'acqua e i topi mi sgusciavano tra i piedi nudi affondati nella melma, ero terrorizzata"), e poi come apprendista sarta. Da lì a poco le si apre la strada della moda, prima modella poi stilista lei stessa a Milano, trasformando nel tempo il suo nome in una griffe.
E' proprio nell'ambiente della moda, all'inizio degli anni Cinquanta, che conosce il conte Umberto Marzotto, vicentino di Valdagno, comproprietario con altri fratelli dell'omonima industria tessile. Si sposano nel 1954 e dalla loro unione durata 15 anni sono nati cinque figli: Paola (nata nel 1955), Annalisa (nata nel 1957, morta nel 1989), Vittorio Emanuele (1960), Maria Diamante (1963) e Matteo (1966). Ma non è un amore di quelli sereni, per lei spirito indomabile, personalità esuberante e incontenibile. Conosce Renato Guttuso, di cui diventa musa e ispiratrice, ed è grande amore per venti anni, regolamentato però da un patto: "Mai mettere in pericolo le famiglie". Arriva poi Magri, conosciuto negli anni in cui è segretario del Partito di unità proletaria per il comunismo: una relazione durata 10 anni: "Un rivoluzionario da salotto - lo definirà lei in un'intervista - gli interessava soltanto il bridge".
Dama dei salotti, di cui è presenza costante con i suoi caftani eleganti, non riesce a evitare anche qualche bega giudiziaria. Nel 2006 viene condannata in primo grado per aver riprodotto, senza averne titolo, alcune opere in suo possesso di Guttuso, i cui diritti legalmente sarebbero spettati al figlio dell'artista. Nel 2011 la Corte d'Appello ribalta la sentenza "perché il fatto non costituisce reato".
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