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Protesta per immigrato ucciso da carabiniere, tensione a San Ferdinando

Il militare ferito tentava di sedare una lite nella tendopoli. Indagato, ma si delinea legittima difesa

Un centinaio di migranti ha inscenato, per le strade di San Ferdinando, una manifestazione per protestare dopo l'episodio di ieri nel corso del quale un carabiniere ha ucciso un giovane del Mali, Sekine Traore, che lo aveva aggredito e ferito con un coltello. Tra i manifestanti rabbia e tensione, ma nessun episodio di violenza. I migranti scandiscono slogan contro i carabinieri, definendoli "razzisti". I manifestanti gridano anche "Italia razzista" ed espongono cartelli dello stesso tenore.

Il corteo, con in testa Bartolo Mercuri, presidente dell'associazione "Il Cenacolo" che da anni si occupa di assistenza ai migranti, si è poi diretto, attraverso le strade del centro del paese, verso la tendopoli, che si trova a metà strada tra San Ferdinando e Rosarno. Assieme a Mercuri c'è Amadou, il fratello di Sekine, che ha in mano il verbale in cui sono contenuti i termini della discussione che la delegazione, nel corso dell'incontro nel Municipio di San Ferdinando, ha avuto con il vicequestore vicario di Reggio Calabria, Roberto Pellicone. 

"Non siamo qui per fare la guerra o per fare casini, siamo qui per lavorare e per mangiare. I carabinieri devono venire per mettere pace e non per uccidere", ha detto un migrante del Mali. "Quello che è accaduto ieri - ha aggiunto il migrante - non è giusto. E vogliamo che tutta l'Italia e tutta l'Europa lo sappiano".

Nel corso dell'incontro i migranti hanno sostenuto che da parte del carabiniere che ha sparato "c'è stato un eccesso di legittima difesa". Secondo il racconto degli immigrati, la vittima aveva in mano un coltellino tale da non provocare danni particolari. I funzionari della Questura di Reggio Calabria hanno sottolineato il ruolo delle forze dell'ordine, "che non sono - hanno detto - nemiche dei lavoratori extracomunitari ma si pongono anzi a loro difesa. Prova ne è l'azione portata avanti contro il caporalato e il lavoro nero nella zona della Piana di Gioia Tauro dimostrata dall'esito di diverse operazioni di polizia".

"La manifestazione organizzata da questi ragazzi è pacifica. Quello che si chiede è una cosa giusta: sapere perchè è stata uccisa questa persona", ha detto Giulia Bari, volontaria dell'organizzazione Medici per i diritti umani che da anni opera nella tendopoli. "C'è una ricostruzione ufficiale dei carabinieri - prosegue il medico - e adesso aspettiamo che le indagini facciano il loro corso. Bisognerà capire, da una parte, la dinamica del fatto e sapere, dall'altra, cosa succederà dopo. Queste persone infatti vivono costantemente situazioni di isolamento che sono indegne e sono costrette a condizioni di lavoro che non hanno registrato alcun miglioramento negli ultimi anni". "Da parte della Prefettura di Reggio Calabria - prosegue il medico - quest'anno si è cercato di costruire una risposta attraverso un protocollo d'intesa per realizzare una nuova tendopoli e politiche di inclusione abitativa e accoglienza diffusa sul territorio. Nel tempo però troppe volte le tendopoli sono state distrutte e ricostruite per arrivare, purtroppo, a ciò che è accaduto ieri".

   

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