E' un cinema lontano da tutto,
senza ansie, senza pressioni "oggi siamo qui ma tra 48 ore siamo
di nuovo lì sotto" dice il regista Michelangelo Frammartino
prendendo in prestito il linguaggio del suo film Il Buco, oggi
in concorso a Venezia 78, secondo dei cinque italiani a
debuttare in Sala Grande dopo E' stata la mano di Dio di Paolo
Sorrentino. "Il mio - spiega all'ANSA - è un cinema carsico,
sotterraneo. Fingo di essere a mio agio qui a Venezia in realtà
non lo sono, mi sento fuori da questo e anche a sorpresa in
concorso, pensavamo di andare magari in altre sezioni".
Frammartino, che ammette di essere "un po' lentino" torna al
cinema (il film, una produzione Doppio Nodo Double Bind con Rai
Cinema, uscirà nel 2022 con Lucky Red) dopo 11 anni dalle
Quattro volte, "nel mezzo un film non fatto, nel 2015, un lutto
da elaborare". Sul red carpet indossa tuta e caschetto come
tutta la delegazione guidata dai veterani speleologi Beppe De
Matteis, 86 anni, e Giulio Gècchele, 84, che nel 1961 fecero
l'impresa esplorando l'allora seconda (oggi è la terza) grotta
più profonda, l'Abisso del Bifurto in Calabria, 700 metri
sottoterra. Con loro i non attori, i giovani speleologi come
Leonardo Zaccaro e vari altri, che hanno interpretato il film,
sei settimane nella cavità immensa nell'entroterra calabrese del
Pollino, arrivando a toccare quota 400 (più sei settimane sopra,
oltre a preparazione, montaggio, edizione). "ci spingeva -
racconta con spirito intatto Gecchele - l'idea di andare in
luoghi in cui nessuno era mai andato. Il Buco restituisce tutto
questo: "un film senza attori, senza dialoghi, senza musiche e
pure senza luce!", dice Frammartino . Un cinema in cui
documentario e finzione non sono due linguaggi alternativi: "il
confine? Ci sto ancora lavorando". Nel Buco Frammartino tenta
cinematograficamente un esperimento: fare un passo indietro
sull'umano, lasciando emergere suoni, sensazioni, connessioni,
dalla profondità della terra, "ridimensionando - spiega la
sceneggiatrice Giovanna Giuliani - gli esseri umani".
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