C'è una strada da seguire per aumentare fino a 10 volte la permeabilità, e quindi la resa, delle membrane che fanno diventare potabile l'acqua di mare, separandola dal sale. La speranza viene da una ricerca condotta da un team di ingegneri del dipartimento Denerg del Politecnico di Torino, in collaborazione con il Massachusetts Institute of Technology e l'University of Minnesota. Lo studio, pubblicato dalla prestigiosa rivista Nature Communications, evidenzia che la soluzione al problema dei costi molto onerosi e alla lentezza del processo sta nell'utilizzo di membrane in zeolite al posto di quelle polimeriche, dopo averne però modificato la superficie, rendendola appunto più permeabile. "La zeolite - spiega uno dei ricercatori del Politecnico di Torino, Pietro Asinari - è un materiale caratterizzata da una fitta e regolare rete di pori con dimensioni inferiori al nanometro (meno di un miliardesimo di metro, ndr). Tuttavia gli attuali metodi di fabbricazione rendono molto alta la resistenza, causando la chiusura di oltre il 99,9% dei pori superficiali". Un limite che causa un collo di bottiglia che rallenta il trasporto collettivo dell'acqua attraverso la membrana, riducendone la permeabilità. La ricerca italo-americana indirizza l'industria specializzata a un diverso trattamento della superficie delle membrane usate nei dissalatori con processi di osmosi inversa. Gli studiosi stimano che le nuove membrane possano raggiungere livelli di permeabilità fino a 10 volte superiore rispetto a quelli attuali, abbattendo così i costi operativi necessari al processo di dissalazione dell'acqua marina". La ricerca, infine, - sostengono gli studiosi del Politecnico di Torino - potrebbe essere applicata anche nelle tecnologie per l'energia sostenibile, alla rimozione degli inquinanti nell'acqua e nella nanomedicina.