La proposta di legge sulla 'ripublicizzazione' dell'acqua è pronta per approdare nell'Aula della Camera, dopo l'esame del dl Semplificazione e del dl Carige, quindi si presume per l'inizio di marzo. Dopo aver svolto un ampio ciclo di audizioni, la commissione Ambiente ha adottato come testo base quello della deputata M5s Federica Daga, che si trovava all'esame con quello di Chiara Braga del Pd. Il termine per la presentazione degli emendamenti è stato posto per l'8 febbraio. Le posizioni in campo sono diverse. E proprio nella maggioranza potrebbero venire fuori le divergenze più profonde.
Per i pentastellati la pdl "incarna la volontà popolare espressa con il voto del referendum del 2011" e ha il sostegno, manifestato più volte, del presidente della Camera Roberto Fico; per il ministro dei Rapporti con il Parlamento Riccardo Fraccaro il risultato popolare rappresenta "una vittoria della democrazia". Mentre in tanti, a cominciare da Braga, hanno messo in evidenza il "silenzio" della Lega sulla questione. Cosa che - a quanto si apprende - potrebbe risolversi nella ricerca di un "compromesso", dal momento che il Carroccio pensa necessario approvare una legge di questo tipo ma senza esporre il Paese a rischi sul piano pratico della gestione e sul versante dei conti pubblici. Inoltre ci sarebbe un nodo politico, di carattere locale con ripercussioni a livello nazionale, che terrebbe in sospeso un po' di più la Lega; e cioè il fatto che gli amministratori dei Comuni del nord, proprio dove il servizio idrico va meglio, sarebbero in agitazione e preoccupati dal provvedimento. Molti, dalle opposizioni hanno manifestato perplessità al testo, chiedendo un'apertura rispetto a eventuali proposte di modifica.
Il potenziale impatto per lo Stato della legge sulla ripublicizzazione dell'acqua, che riforma il servizio idrico riportandolo sotto la mano pubblica, potrebbe essere di circa 15 miliardi di euro. La stima è contenuta in uno studio di Oxera (società di consulenza economica) messo a punto per Utilitalia (la Federazione delle imprese di acqua ambiente e energia, che riunisce la quasi totalità dei gestori del ciclo idrico integrato, fornendo acqua all'80% della popolazione). Il servizio idrico dovrà essere comunque sostenuto: semplicemente per prendere l'acqua alla sorgente, purificarla, farla passare nei tubi e portarla ai rubinetti di casa, raccoglierla (fogne) e ripulirla (depurazione). Non essendoci più la tariffa però si dovrà far leva sulla fiscalità generale, che siano nuove tasse, ampliamento di quelle esistenti inserendo lo 'scopo', oppure altre soluzioni.
In particolare - spiega lo studio - il primo anno, potrebbe arrivare fino a 22,5 miliardi: partendo da un minimo di 14,6 miliardi a un massimo di 16,5 miliardi di costi una tantum, cui si devono aggiungere da un minimo di 4 a un massimo di 6 miliardi all'anno. Gli effetti sui consumatori potrebbero arrivare da "una gestione frammentata che potrebbe essere causa di inefficienza operativa"; tra gli altri impatti una possibile conseguenza sul consumo minimo vitale, con "una riduzione nella bolletta idrica" o lo spostamento degli "oneri per la fornitura dalla tariffa a eventuali imposte di scopo e altre forme di prelievo".
La ricerca - in cui vengono valutati sia gli effetti economici legati alla fiscalità generale che quelli sui consumatori, come per esempio la misura del consumo minimo garantito - prende in considerazione alcuni parametri. Come per esempio per la fiscalità generale i costi una tantum: l'impatto della cessazione anticipata (cessazione delle convenzioni in corso per 10,6 miliardi, rimborso del debito finanziario a carico degli enti locali per 3,2, rimborso del debito tra compagnie per 700 milioni); il mancato riconoscimento dei canoni di concessione per 2 miliardi. E una stima dei costi annuali: quelli legati alla misura per il consumo minimo vitale pari a 1,7 miliardi e quelli per il finanziamento pubblico degli investimenti (per colmare il gap infrastrutturale e per finanziare gli investimenti coperti dalla tariffa) pari a 4,3 miliardi.