ISOLA DEL GRAN SASSO (TERAMO) - "Qui a Campo Imperatore ci viviamo fra i lupi. Io ho 2.000 pecore, eppure in due anni non ne ho persa neanche una. La salvezza nostra è l''arma bianca', i cani pastori abruzzesi. Io ne ho 20".
Giulio Petronio è uno dei 15 allevatori del Consorzio del Canestrato di Castel del Monte, saporito formaggio tipico di questo piccolo comune, alle pendici del Gran Sasso, in provincia dell'Aquila. Con le pecore Giulio ci vive, e i lupi per lui sono un problema. Ma è un problema che a suo avviso si può risolvere senza abbattere questi predatori, come prevede (pur come estrema ratio) il contestato Piano lupo del Ministero dell'Ambiente.
Basta ricorrere ai sistemi collaudati da millenni, che negli ultimi decenni erano caduti in disuso per la quasi estinzione di questi animali: recinti per le pecore, e soprattutto robusti cani da guardia. Gli splendidi pastori abruzzesi, grandi animali dal pelo folto e candido. Mansueti con gli uomini e le pecore, implacabili coi lupi. Questi ultimi sanno con chi hanno a che fare, e girano alla larga.
Campo Imperatore, la grande piana a 1.800 metri di quota nell'Aquilano (nota per la prigionia di Mussolini dopo il 25 luglio), fa parte del Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga. Un parco che ha investito molto non solo sulla tutela del lupo, ma anche sulla sua convivenza con le attività umane. E i risultati si vedono.
"Dei 12 progetti finanziati dalla Ue nel Parco - spiega Federico Striglioni, responsabile scientifico dell'ente - sei riguardavano la coesistenza dell'uomo coi predatori, dalla costruzione degli stazzi elettrici all'addestramento di cani da guardiania. Abbiamo lavorato per stabilire un rapporto di fiducia con gli allevatori, abbiamo concordato con loro il regolamento per gli indennizzi. Se non si affronta il problema con chi lavora negli allevamenti, non si risolve nulla".
Nel territorio del Parco, 150.000 ettari, vivono oggi dai 70 ai 100 lupi. Gli animali domestici sono 85.000, dei quali 66.500 sono pecore. I residenti nel Parco sono 15.000, le aziende zootecniche 400. Il Parco rimborsa rapidamente gli allevatori per il bestiame predato, ma manda i veterinari, in veste di medici legali, ad accertare se le bestie sono state davvero uccise dai lupi. In questo modo si evitano truffe e non si sprecano i fondi disponibili.
Tra i risultati di questo lavoro, c'è che sul Gran Sasso non si trovano i bocconi avvelenati che in altri territori vengono messi dagli allevatori per sterminare i predatori. L'ultimo progetto del Parco, Mircolupo, prevede la cattura e la sterilizzazione degli ibridi cane-lupo, per salvare l'identità genetica di questi predatori.
"Gli abbattimenti controllati non hanno nessuna base tecnica - spiega Striglioni -. Se uccidi un lupo, il giorno dopo torneranno gli altri, e dopo un po' l'esemplare abbattuto sarà sostituito da un giovane proveniente da un altro branco. E' più facile dire 'togliamo i lupi' che educare gli allevatori".