Oltre 140 globicefali, una specie di grossi delfini, sono morti dopo essersi arenati in una spiaggia remota della Nuova Zelanda. Il Dipartimento della Conservazione è stato allertato allo spiaggiamento sabato notte e metà dei cetacei erano già morti quando sono state trovate, ha detto il direttore delle operazioni del dipartimento Ren Leppens.
"Purtroppo le probabilità di riportare in mare con successo i globicefali rimanenti erano estremamente basse", ha detto Leppens: "la località remota, la mancanza di personale disponibile e le condizioni peggioranti dei cetacei hanno fatto sì che il trattamento più umano è stata l'eutanasia. Tuttavia è sempre una decisione straziante".
Leppens ha aggiunto che durante il fine settimana un gruppo di dieci balene pigmee, dette ferese, si sono arenate in un'altra spiaggia, mentre vi sono stati altri due casi di spiaggiamenti di singole balene. "E' improbabile che i casi siano collegati, ma gli spiaggiamenti sono "relativamente comuni" in Nuova Zelanda.
Biologa, cetacei spiaggiati per senso del branco. C'è un fortissimo senso del branco, tipico dei globicefali, dietro lo spiaggiamento di 140 cetacei di questa specie in Nuova Zelanda: quando il capobranco perde l'orientamento e si spiaggia, gli altri membri lo seguono.
Spiega così quanto accaduto la biologa marina Sabina Airoldi, della onlus Tethys che studia i cetacei del Mediterraneo.
"Il globicefalo è un grosso delfino, lungo 5-6 metri e pesante una tonnellata - commenta -. Vive in grossi branchi, da 40 a 400 individui, guidati da alcuni esemplari di riferimento, in genere femmine anziane. E' una specie in cui il legame sociale è particolarmente forte. Se uno di questi capibranco finisce sulla riva, perché ha perso l'orientamento o è malato, gli altri lo seguono. Per questo i globicefali sono i cetacei che si spiaggiano più di frequente in massa".
In Nuova Zelanda, spiega ancora Airoldi, "c'è poi il fenomeno delle 'death trap', trappole di morte. Sono delle baie in cui, per le caratteristiche del fondale, il sonar dei globicefali rimbalza in modo anomalo e li manda in confusione. Pensate a un branco di 200 animali che vanno nel panico. Se un capo finisce in acque basse o si spiaggia, gli altri lo seguono".
Salvare i globicefali spiaggiati è molto difficile: "Se ne riporti in acqua uno, mentre vai a prendere gli altri quello torna a riva dai suoi compagni - spiega la biologa -. Bisogna riportarne in mare contemporaneamente un gran numero, così da riformare il branco".
Anche l'uomo può contribuire allo spiaggiamento: "Rumori fortissimi come i sonar militari o le esplosioni per le ricerche petrolifere, gli airgun - dice Airoldi -, possono stordire i cetacei o lesionare gli organi interni. Così perdono l'orientamento e la corrente li spinge sulle spiagge".