Dovrà risarcire il Parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise, oltre ad altre associazioni che si erano costituite parte civile, l'uomo che uccise a fucilate un orso a Pettorano sul Gizio nel 2014: a stabilirlo è stata la Corte d'Appello dell'Aquila che pur dichiarando inammissibile il ricorso presentato contro l'assoluzione di primo grado sancita dal Tribunale di Sulmona nel 2018, ha riformato le statuizioni di natura civile condannando l'uomo al risarcimento da calcolarsi in separata sede. Le parti civili da risarcire, oltre al Pnalm sono la Lega Antivivisezione, Pro Natura Abruzzo, Associazione Salviamo l'orso e il Wwf: i giudici hanno deciso per una provvisionale di tremila euro, condannando l'uomo al pagamento delle spese processuali del doppio giudizio che ammontano a circa 18 mila euro.
"È davvero una sentenza storica perché riconosce la responsabilità di un cittadino che ha sparato a un orso, uccidendolo". Così commenta, in una nota, il presidente del Parco nazionale d'Abruzzo Lazio e Molise (Pnalm), Giovanni Cannata, all'indomani della sentenza con cui la Corte d'Appello dell'Aquila, pur dichiarando inammissibile il ricorso presentato contro l'assoluzione di primo grado sancita dal Tribunale di Sulmona nel 2018, ha riformato le statuizioni di natura civile condannando l'uomo al risarcimento da calcolarsi in separata sede. "Il riconoscimento delle responsabilità, oltre a fissare un principio ineccepibile com'è il rispetto della vita di un orso - prosegue Cannata - dà conto anche del lavoro investigativo svolto dal personale dell'ex Corpo Forestale dello Stato che riuscì a ricostruire tutti i passaggi della vicenda e individuare il responsabile, che non ha mai negato di avere sparato all'orso".
"La sentenza - secondo il presidente del Pnalm - è anche uno sprone a migliorare l'azione di tutela da parte del Servizio di Sorveglianza del Parco e dei Carabinieri Forestali impegnati nelle aree protette".
L'uccisione avvenne nel settembre 2014 a Pettorano sul Gizio (L'Aquila); la Corte d'Appello ha accertato la responsabilità civile dell'imputato condannandolo a risarcire il Parco e le Associazioni che si erano costituite parte civile, oltre che a pagare le spese processuali. "Purtroppo, a causa di un vizio di forma, la condanna è solo civile e non penale - aggiunge Cannata - ma possiamo dire che è una sentenza storica, perché finalmente rende giustizia alla tutela di una specie protetta, riformando in modo sostanziale la sentenza del Tribunale di Sulmona che nel 2018 aveva assolto l'imputato, destando sconcerto e preoccupazione per i possibili risvolti. C'era un evidente rischio di compiere la generalizzazione secondo cui uccidere un orso non è reato, con gravissime conseguenze che si possono immaginare. Per fortuna così non è stato". (ANSA).