"Per l'uscita dal carbone non serve realizzare nuove centrali a gas: è sufficiente aumentare l'attività di quelle esistenti da circa 3.200 ore all'anno a 4mila". Ma questo è comunque "poco auspicabile" perché "richiederebbe in sé un aumento dei consumi di metano. E ciò non andrebbe affatto bene". A dirlo Legambiente che lancia oggi il suo nuovo rapporto 'La decarbonizzazione in Italia non passa per il gas', e rivolgendosi al governo - a pochi giorni dallo sciopero nazionale per il clima di venerdì 9 ottobre - fa presente che il Paese dovrebbe investire "seriamente sulle fonti rinnovabili, a partire dal solare e dall'eolico, sull'efficientamento energetico, sugli accumuli e sull'innovazione". In particolare, non si devono più "difendere modelli energetici vecchi e inquinanti. Il governo con la prossima legge di Bilancio cominci a tagliare i sussidi alle fonti fossili".
Il messaggio cuore del rapporto: "Stop al carbone, no alla realizzazione di nuovi impianti a gas, sì alle semplificazioni per rinnovabili e sistemi di accumulo. In Italia la decarbonizzazione non può passare dal gas come fonte di transizione in sostituzione del carbone. Bisogna adottare soluzioni credibili e radicali per ridurre le emissioni di Co2".
"Negli ultimi due decenni le nuove centrali elettriche a metano costruite hanno prodotto una situazione di sovrabbondanza - viene spiegato - il parco di generazione esistente ammonta a 115.000 Megawatt (MW) di potenza installata, quasi il doppio rispetto alla domanda massima sulla rete" che è stata di 58.219 MW nel luglio 2019.
Il primo passo da compiere - prosegue Legambiente - è "la chiusura entro il 2025 delle centrali a carbone per una capacità di oltre 7.900 MW senza ricorrere a nuovi impianti a gas, per arrivare entro il 2040 alla chiusura di tutte le centrali inquinanti alimentate da fonti fossili, gas metano compreso. L'Italia deve avere il coraggio di ridurre fino ad azzerare i consumi di gas al 2040, iniziando da subito a non distribuire più risorse economiche per nuovi impianti. Risorse che si potrebbero usare per incentivare la diffusione delle fonti rinnovabili. Senza però dimenticare la necessità di mettere in campo politiche di efficientamento del settore industriale, edilizio e mobilità e piani di riconversione delle aree dove sono situate le centrali a carbone".
"Il governo italiano sta sbagliando strada sulla lotta alla crisi climatica - spiega Stefano Ciafani, presidente di Legambiente - nel settore della produzione di energia promuove la riconversione a gas delle centrali a carbone, investe su nuove infrastrutture per il trasporto del metano fossile, sostiene progetti sbagliati come quello di Eni che vuole confinare la Co2 nei fondali marini. È arrivato il momento di scelte chiare e radicali. Vediamo se alle tante parole spese su questo fronte faranno seguito finalmente gli atti concreti". Per le aree che dovranno essere riconvertite, Legambiente ricorda che ci sono i fondi europei disponibili per le aree di transizione, il cosiddetto Just trasition fund: ossia circa "7,5 miliardi di euro destinati alla conversione industriale di centrali a carbone, gasolio e altre fonti inquinanti. Senza dimenticare il Recovery fund, parte di quei fondi possono essere destinati per la lotta alla crisi climatica. I 'posti' della transizione: dalla Sardegna alla Liguria con la Spezia, dal Friuli Venezia Giulia con Monfalcone, alla Puglia con Brindisi.