Canale Energia - Favorire lo sviluppo della banda ultralarga grazie a un modello di mercato nuovo e ispirato alle esperienze del Nord Europa. Questo l’obiettivo di un accordo sottoscritto tra Assoprovider e Legacoop che vuole modificare il sistema con cui comunemente si realizzano le reti in fibra ottica nell’ultimo miglio, cioè nel tratto di connessione tra l’utente finale e la centrale di zona che fa capo alla società di telecomunicazioni.
L’idea è riunire cittadini, aziende e amministrazioni pubbliche di un territorio in una cooperativa che si faccia carico di creare la fibra nelle aree a fallimento di mercato o “bianche”, dove gli operatori delle reti non hanno convenienza a investire (queste zone interessano circa 7.700 Comuni in Italia su 7.982 totali). La cooperativa, successivamente, si costituirà come gruppo d’acquisto di rete Internet e contenuti potendo contare sulla sua infrastruttura proprietaria.
Questo progetto si cala “in una realtà problematica”, spiega a e7 Gian Battista Frontera, Vicepresidente di Assoprovider. I fondi pubblici stanziati per le aree a fallimento di mercato (o “bianche”), assegnati attraverso bandi Infratel, sono di circa 6 miliardi di euro ma “per portare la fibra a tutti gli utenti interessarti servirebbero decine di miliardi”. Con questa formula alternativa, invece, i cittadini “si fanno parte dirigente” rompendo “le rendite di posizione” e per facilitare l’operazione “stiamo dialogando con gli istituti di credito”. I primi progetti pilota, prosegue Frontera, partiranno “nelle aree terremotate dell’Umbria e in Puglia”.
La realtà problematica a cui fa riferimento il Vicepresidente di Assoprovider è stata descritta anche da Anci nelle “linee guida per i Comuni sullo sviluppo della banda ultralarga” pubblicate a gennaio. Secondo l’associazione “l’Italia sconta ancora un significativo ritardo in termini di connessioni con velocità di almeno 30 Mega bit al secondo (Mbps) rispetto agli altri Stati europei. In base ai dati della Commissione europea del 2017, pur avanzando di tre posizioni rispetto al 2016, siamo ancora il quintultimo Paese in termini di disponibilità di connessioni veloci e affidabili”. Per colmare questo gap il Governo ha presentato nel 2015 il Piano nazionale per la banda ultralarga, un programma di interventi “che ha l’obiettivo di garantire, entro il 2020, una velocità di connessione di almeno 100 Mbps all’85% della popolazione e di almeno 30 Mbps al 100% dei cittadini, nonché una copertura ad almeno 100 Mbps per edifici pubblici e aree industriali”.
Obiettivi rilanciati dal Ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, che giovedì a Torino ha preso parte a un evento sul Piano Impresa 4.0 spiegando di voler raggiungere il 100% delle aziende italiane connesse a 30 Mbps entro il 2020 e il 50% a 100 Mbps. Target sfidanti che lasciano intendere grandi potenzialità per la crescita sociale ed economica del Paese ma che prestano il fianco a non pochi problemi tecnici e di mercato.
“Bisogna distinguere tra aree nere, bianche e grigie”, spiega al nostro settimanale Francesco Vatalaro, Professore di Telecomunicazioni dell’Università di Roma Tor Vergata. Nel primo caso rientrano “le principali città italiane”. Qui sono attivi più operatori delle reti che stanno facendo un lavoro “molto avanzato e non ci sono difficoltà reali”.
Nelle aree bianche, invece, la spinta iniziale dei fondi pubblici “c’è stata” grazie ai bandi Infratel ma “è difficile fare previsioni per il futuro” visto che, al netto dei piani pluriennali, nelle zone a fallimento “conta la volontà politica”. Le aree grigie, infine, sono quelle dove si è reso disponibile un solo operatore per la realizzazione dell’ultimo miglio, quindi non sono territori a competizione di mercato. Qui si concentra circa il 65% delle aziende italiane ma, secondo Vatalaro, “stiamo procedendo lentamente poiché, non essendoci concorrenza, manca uno stimolo” per la rapida infrastrutturazione. Una soluzione potrebbe arrivare “da una regolazione pro competitiva dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni” (Agcom) che potrebbe spingere l’azione di chi può o deve fare le reti.
Una prospettiva, quest’ultima, che sembra in linea con quanto richiesto dal Presidente dell’Agcom, Angelo Marcello Cardani. In occasione dei vent’anni dell’Autorità, celebrati giovedì con un evento alla Camera, Cardani ha infatti rivendicato l’esigenza di rafforzare le competenze e la missione del suo ente.
Gli ostacoli per lo sviluppo della banda ultralarga, dunque, sono molteplici, “a partire dal fatto che una concentrazione di attività spinta in un arco temporale limitato presuppone la disponibilità di risorse professionali adeguate non facilmente reperibili”, sottolinea a e7 Andrea Penza, Presidente dell’Associazione italiana per l’information and communications technology (Aict). “Inoltre esistono ancora problemi dovuti alla burocrazia statale per quanto riguarda i permessi alla realizzazione delle opere”. Infine, “la cattiva integrazione fra reti di operatori diversi potrebbe costituire una difficoltà aggiuntiva all’armonizzazione delle infrastrutture esistenti e alla coabitazione con quelle in fase di costruzione”.
In ballo c’è molto, visto che “la possibilità di avere connessioni a banda ultralarga consente ai cittadini di poter usufruire di Internet veloce e servizi innovativi”, conclude Penza. “Le imprese, inoltre, possono gestire con maggiore flessibilità e affidabilità il trattamento dei dati anche a distanza utilizzando soluzioni di cloud computing particolarmente versatili e fortemente integrabili con le infrastrutture di comunicazioni”.