ROMA - Il maxi sbiancamento che ha duramente colpito la Grande barriera corallina australiana è stato il frutto di una "tempesta perfetta" prodotta da un insieme di "condizioni oceanografiche senza precedenti". Lo afferma un team di ricercatori australiani e belgi: non solo temperature elevate e un El Nino molto intenso, ha influito anche un tempo di permanenza "eccezionalmente lungo" di acqua più calda nei reef.
Pubblicato sulla rivista "Estuarine, Coastal and Shelf Science", lo studio è stato condotto dalle università James Cook e Louvain, Louvain-la-Neuve.
Eric Wolanski, professore dell'ateneo australiano, osserva che il riscaldamento delle acque prodotto da El Nino nel 2016 ha avuto inizio nel Golfo di Carpentaria, con acque che hanno raggiunto una temperatura eccezionalmente alta di 34 gradi.
Questo flusso caldo si è mosso verso i reef dello Stretto di Torres e poi verso il tratto settentrionale della Grande barriera corallina. È qui che l'acqua così riscaldata ha "stazionato" per un periodo "eccezionalmente lungo, aumentando lo stress termico sui coralli". Questi elementi, aggiunge, hanno favorito anche il riscaldamento locale prodotto dal sole. La corrente costiera settentrionale del Queensland, nel mar dei Coralli, sottolinea lo scienziato, avrebbe normalmente raffreddato la barriera, ma in questo caso ha fatto l'opposto: "Ha invertito il corso e ha portato acqua molto calda".
Il mix di questi fenomeni ha prodotto una "tempesta perfetta", i cui effetti sulla Grande barriera corallina, purtroppo, sono noti. In seguito al maxi evento di sbiancamento complessivamente è morto il 29% dei coralli di acque poco profonde, mentre considerando solo il tratto a nord di Port Douglas, la percentuale sale al 70%.