ROMA - Sono quattro le piaghe che minano lo stato della pesca nel Mediterraneo peggiorato negli ultimi dieci anni: cattiva gestione delle attività soprattutto in Adriatico, inquinamento per lo più nel Nord ovest e nello Stretto di Sicilia, pesca illegale ed eccessiva e per l'Adriatico viene chiamato in causa anche il cambiamento climatico. A dirlo sono i pescatori intervistati dal Wwf insieme agli enti di ricerca coinvolti in due progetti finanziati dall'Unione Europea, per trovare soluzioni al problema della sovra-pesca basata su strumenti di gestione dello spazio marino.
La maggioranza dei pescatori nel Mediterraneo Nord Occidentale e nello Stretto di Sicilia lamenta controversie con la pesca ricreativa che compete sempre più per l'utilizzo dello spazio marino e lo sfruttamento delle risorse con la pesca professionale, già in declino. Quasi due terzi denunciano gli stessi problemi con il turismo subacqueo, soprattutto in Stretto di Sicilia e Adriatico, mentre il turismo da diporto è fonte di malcontento in Mediterraneo Nord-Occidentale. Anche i rapporti tra pesca artigianale e pesca a strascico sono spesso conflittuali per la competizione per le stesse risorse, in particolare in Adriatico e Stretto di Sicilia. Concordano invece i pescatori sulle aree marine protette e le forme di gestione su base spaziale del mare, considerate "utili ma poco efficaci per moderare i conflitti tra i diversi utenti del mare e la pesca illegale, soprattutto per la carenza di sorveglianza". Idee chiare, infine, per quanto riguarda la gestione dell'attività. Per oltre il 30% deve garantire il reddito dei pescatori e proteggere gli stock ittici. Prima di introdurre nuove norme, andrebbero innanzitutto applicate quelle già esistenti in modo adeguato, adottate chiusure temporanee in base ai cicli vitali dei pesci; vengono suggerite anche riduzione e controllo dello sforzo di pesca ricreativa, eliminazione della pesca illegale e azioni sul mercato del pesce.