Dialogo e condivisione. Sul futuro deposito nazionale di rifiuti radioattivi si vuole fare un percorso inedito, per non rivedere le proteste del 2003 a Scanzano Ionico. Un'opera pubblica di altissima sicurezza, che promette investimenti per 900 milioni in 4 anni, oltre 4.000 posti di lavoro l’anno, diretti (2.000 fra interni ed esterni), indiretti (1.200) e indotti (1.000), infrastrutture, incentivi al territorio che condivide la presenza del deposito e di un Parco tecnologico dedicato alla ricerca. Durante la fase di esercizio, l’occupazione diretta è stimata mediamente in circa 700 addetti, fra interni ed esterni, con un indotto che può incrementare l’occupazione fino a circa 1.000 unità. L'entrata in eserczio sarebbe nel 2029.
Il percorso non è breve e senza ostacoli ma la Sogin (la societa' di Stato che se occupa) è determinata ad affrontare qualsiasi scoglio. "Abbiamo certezza nella validita' della procedura, ci aspettiamo un'ampia rosa di candidature" disse il direttore del deposito, Fabio Chiaravalli, nel 2015, quando Sogin era in procinto di consegnare a Ispra e ai ministeri dello Sviluppo e dell'Ambiente la mappa delle aree (alcune decine) potenzialmente idonee per ospitare il deposito, migliaia di pagine fra testi e cartografie. Nonostante fosse rimasta top secret, la Sardegna dissotterrò l'ascia di guerra: "Mai sull'isola". Timori espressi con meno foga anche da qualche parlamentare dell'Emilia Romagna.
Ci si aspettava che i due dicasteri dessero l'ok in luglio per rendere pubblica la mappa. Sono passati cinque anni e mezzo. I mesi passeranno tra confronti e soprattutto spiegazioni. "Vogliamo assicurare massima trasparenza" disse Chiaravalli parlando con toni a volte accorati, svelando di avere "il sogno che ci siano subito almeno due auto candidature". Il percorso proseguirebbe in discesa. In Svezia, e' successo.
In Francia, dove si convive con le centrali nucleari, l'auto candidatura non e' stata immediata ma poi le comunità della regione Champagne-Ardenne hanno capito e ci hanno guadagnato, tanto che si autocandidano per un ulteriore deposito. Avvolto da un bosco di faggi e querce, il deposito de l'Aube, aperto nel 1992 e il piu' grande di superficie del mondo, non ha messo a rischio il pregiato champagne. Il sito, quasi 100 ettari con una capacita' di stipare circa un milione di metri cubi di rifiuti atomici, attorno ha distese di grano e orzo e pascoli di vacche, che danno prodotti doc; nel raggio di una quarantina di chilometri, un paio di centinaia di piccole e medie aziende vitivinicole. Dopo oltre vent'anni dall'apertura del deposito gestito dall'Agenzia nazionale per la gestione dei rifiuti radioattivi 'Andra', che ha dato iniziali 10 milioni in totale alle comunita' locali per accompagnare il territorio con infrastrutture e versa 13 milioni di imposte annuali, si sono ingrandite e oggi forniscono uva alle grandi maison di champagne. Qualcuna produce anche con etichetta propria. Andra compie ogni anno oltre 12mila analisi fisico-chimiche dalle acque all'aria, al sottosuolo ai prodotti alimentari nel raggio di 15 chilometri dal deposito per controllare eventuale presenza di radioattivita'. Possibili ulteriori analisi in un laboratorio indipendente. Non che tutto sia stato semplice. Anche a l'Aube e nei comuni circostanti ci furono proteste prima della costruzione del deposito. "Il nucleare per noi significava Hiroshima, c'era una totale ignoranza" ricordò Gilles Gerard, all'epoca vice sindaco di Epothemont, il comune piu' vicino all'impianto. Contrario, lanciò un referendum e l'80% della popolazione disse no. "Quello che serve e' informare, spiegare, in totale trasparenza" suggerì Gerard che nel 2015 era presidente delle Commissioni locali ambiente e informazione. Un esempio che l'Italia ha studiato e vuole mutuare. Sullo stoccaggio in verita' siamo gia' oltre la Francia, con un livello di sicurezza in più.