"Riproporre le trivellazioni in Alto Adriatico non è rispettoso del tributo già pagato da quelle popolazioni. E' ingiusto che territori di Veneto ed Emilia Romagna, fra l'altro importanti asset turistici, rischino di essere penalizzati dalle conseguenze di scelte governative localmente non condivise.". Lo afferma in un comunicato Francesco Vincenzi, presidente dell'Associazione dei consorzi di bacino (ANBI), gli enti pubblici di gestione di corsi d'acqua e laghi.
"I territori delle province di Rovigo, Ferrara e del comune di Ravenna - spiega Giancarlo Mantovani, Direttore dei Consorzi di bonifica polesani - sono stati interessati dallo sfruttamento di giacimenti metaniferi dal 1938 al 1964.
L'emungimento di acque metanifere innescò un'accelerazione, nell'abbassamento del suolo, decine di volte superiore ai livelli normali. Agli inizi degli anni '60 raggiunse punte di 2 metri ed oltre, con una velocità stimabile fino a 25 centimetri all'anno. Misure successive hanno dimostrato che l'abbassamento del territorio ha avuto punte massime di oltre 3 metri dal 1950 al 1980. Rilievi effettuati dall'Università di Padova hanno evidenziato un ulteriore abbassamento di 50 centimetri nel periodo 1983-2008 nelle zone interne del Delta del Po".
L' "affondamento" del Polesine e del Delta Padano ha causato un grave dissesto territoriale. Gli alvei e le sommità arginali si sono abbassate, esponendo il territorio a frequenti esondazioni. Gli impianti idrovori funzionano oggi per un numero di ore di gran lunga superiore a quello precedente (il triplo od il quadruplo), con maggior consumo di energia, a carico dei Consorzi di bonifica. Il sistema di bonifica, indispensabile per mantenere l'equilibrio idrogeologico, è attualmente costituito da oltre 500 impianti idrovori. L'aggravio sui bilanci degli enti consorziali per la sola energia elettrica è di circa 20 milioni di euro.