Passi da gigante per la ricerca sui pazienti anziani con disordini ematologici che fino a soli dieci anni fa venivano trattati con terapie palliative. Al centro dell'attenzione l'anemia in età avanzata che può ridurre l'aspettativa di vita, aumentare il rischio di declino funzionale, di insufficienza cardiaca e di infarto, di perdita cognitiva e di demenza. Dell'argomento si è parlato al congresso "Hematologic diseases in the elderly" che si è tenuto a Roma, organizzato dall'Istituto di Ematologia Seràgnoli dell'Università di Bologna, con il patrocinio di Sie-Società Italiana Ematologia, Sies-Società Italiana Ematologia Sperimentale, Aiom-Associazione Italiana Oncologia Medica, Sigg-Società Italiana di Gerontologia e Geriatria, e promosso dalla Fondazione Internazionale Menarini.
"Ora abbiamo nuove idee e possiamo curare la maggior parte dei pazienti, anche di 70-80 anni ", spiega Pierluigi Zinzani, ematologo del Policlinico Sant'Orsola di Bologna. "Un esempio è il linfoma non-Hodgkin, che è oggi il principale tumore ematologico per frequenza, tra tutti i tumori il sesto nel mondo occidentale e il quinto in Europa. Colpisce prevalentemente la popolazione adulta (60- 65 anni) e attualmente in Italia circa 130 mila persone convivono con un linfoma non-Hodgkin".
Harvey Cohen, della Duke University Medical Center di Durham, Stati Uniti, avverte: «Il declino dell'emoglobina nel sangue e un concomitante aumento dell'anemia non devono essere considerati come una normale conseguenza della vecchiaia, per cui la diagnosi di anemia in una persona anziana deve essere valutata con attenzione dal medico".