(di Manuela Correra)
E' italiano, e nasce a Siena, il primo Centro in Europa interamente dedicato al trattamento dei tumori con l'immunoterapia, l'innovativo approccio che punta a 'risvegliare' il sistema immunitario per combattere il cancro.
Si chiama Cio (Centro di immuno-oncologia), e sostenuto dalla regione Toscana, ed a regime occuperà una superficie complessiva di circa 1.250 metri quadri. Il Centro è stato presentato oggi ufficialmente nell'ambito del XV congresso internazionale del Nibit (Network Italiano per la Bioterapia dei Tumori), in corso fino al 7 ottobre a Siena con la partecipazione dei maggiori esperti dell'immunoterapia del cancro al mondo.
"L'obiettivo - spiega Michele Maio, direttore del Cio e dell'Unità Operativa Complessa di Immunoterapia Oncologica dell'Azienda Ospedaliera Universitaria Senese - è unire in un'unica realtà operativa ricerca e pratica clinica per dare vita a nuove strategie nella lotta al cancro. Solo nel 2017 si prevede che al CIO afferiranno circa 3.000 nuovi pazienti e il 75% di quelli in terapia verrà infatti inserito in studi clinici. Un obiettivo importante se si pensa che negli Usa meno del 5% dei malati oncologici è incluso in sperimentazioni". Al momento sono attive presso il CIO circa 40 sperimentazioni di immunoterapia in tumori di tipo diverso, dagli studi di Fase I alle Fasi III. Il CIO ha quattro anime fondamentali: un reparto clinico di Immunoterapia Oncologica, un laboratorio per svolgere tutte le attività indispensabili a supporto dei programmi di sperimentazione clinica, laboratori destinati alla ricerca di base (pre-clinica) e una sezione dedicata alle sperimentazioni di fase I/II. Quattro realtà, queste, rileva Maio, che "devono essere in costante comunicazione fra loro". Il CIO nasce anche dalla volontà di rendere sempre più competitivo a livello internazionale il programma di immunoterapia del cancro voluto e sostenuto dalla Regione Toscana a Siena già a partire dal 2004.
Al Centro lavorano oltre 40 persone tra oncologi, infermieri, psico-oncologi e nutrizionisti. L'immunoterapia è oggi una realtà consolidata per il trattamento di alcuni tumori come il melanoma, il tumore del polmone e del rene in fase avanzata e gli studi hanno dimostrato come tale approccio terapeutico sia in grado di migliorare non solo la sopravvivenza a lungo termine, ma anche la qualità di vita dei pazienti.
Oggi, però, c'è una grande sfida da vincere: "Il 50% dei pazienti risponde all'immunoterapia - afferma Maio -. Vogliamo capire perché nell'altra metà questo approccio non risulti efficace, con l'obiettivo di aumentare la percentuale di pazienti che risponde alla terapia immunologica".
Il CIO collabora con le principali Istituzioni e network scientifici internazionali che si interessano di ricerca clinica e pre-clinica nell'ambito dell'immunoterapia ed è attiva la partnership con il Parker Institute for Cancer Immunotherapy di San Francisco (USA). La struttura è anche l'unico centro europeo coinvolto attivamente nel progetto TESLA, mirato a sviluppare vaccini personalizzati per la cura del cancro.
- MAIO, 'Immunoterapia inefficace sul 50% dei malati, è la sfida per il prossimo futuro'
'Obiettivo rendere le cellule tumorali più visibili al sistema immunitario'
L'immunoterapia, che mira a 'risvegliare' il sistema immunitario a riconoscere e combattere direttamente il cancro, rappresenta la nuova e promettente frontiera per la cura dei tumori ma, ad oggi, solo un paziente su due risponde a tale approccio: "La grande sfida che abbiamo davanti è proprio capire perchè nell'altra metà l'immunoterapia non funzioni". Per Michele Maio, direttore del nuovo Centro di Immuno-Oncologia (CIO) di Siena, l'obiettivo è dunque arrivare ad avere sempre più alte percentuali di riposta. Un risultato, afferma, "al quale stiamo lavorando". Ad oggi, spiega Maio, "sappiamo che i pazienti miglior 'candidati' per l'immunoterapia sono quelli il cui tumore presenta alcune caratteristiche specifiche, quali ad esempio il fatto di evidenziare la presenza al suo interno di cellule immunitarie come i linfociti T. In questo caso si parla di 'tumori caldi'. Ma alcuni tumori, come quello al pancreas, colon, prostata, ed anche alcune forme di cancro al polmone, non hanno tale caratteristica e si dicono 'freddi'. Sono quelli che non rispondono all'immunoterapia, ma molto c'è ancora da capire sul perché alcune neoplasie siano resistenti a tale approccio".
E una delle vie più promettenti per riuscire in tale obiettivo è rappresentata dall'epigenetica, con un progetto del CIO finanziato in parte dalla Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro. L'epigenetica studia le mutazioni genetiche non attribuibili direttamente alla sequenza del DNA. Oggi i farmaci epigenetici, capaci di modulare la funzione del DNA, spiega Maio, "ci consentono di indurre cambiamenti non solo della neoplasia ma anche del microambiente in cui il tumore vive. Infatti il microambiente si dimostra fondamentale per l'efficacia dell'immunoterapia in quanto costituito da cellule in grado di rendere il tumore 'irraggiungibile' dal sistema immunitario stimolato dai farmaci immunoterapici". L'obiettivo della combinazione delle terapie epigenetiche e immunoterapiche, chiarisce, "è proprio quello di aumentare la risposta immunitaria contro le cellule tumorali". In altre parole, afferma, "modifichiamo le cellule malate per renderle più visibili al sistema immunitario, così aggrediamo meglio il cancro. Se riusciremo a facilitare questa interazione, potremo ottenere risultati importanti anche in pazienti che oggi non rispondono all'immunoterapia".
Proprio l'epigenetica, annuncia Maio, "è alla base dello studio NIBIT-M4: "L'arruolamento dei pazienti terminerà nella primavera del 2018 - spiega - e questa ricerca è disegnata per valutare per la prima volta la combinazione di un farmaco immuno-oncologico, ipilimumab, e di una molecola epigenetica, la guadecitabina, che agisce sul DNA delle cellule malate provocando modificazioni chimiche, nel trattamento del melanoma metastatico. Il farmaco epigenetico 'smaschera' cioè alcune caratteristiche immunologiche delle cellule tumorali che diventano così riconoscibili da parte del sistema immunitario".
Tutti passi avanti, conclude, "con un unico fine: poter a breve arrivare a trattare con l'immunoterapia una percentuale sempre più alta di pazienti".