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Antinfiammatorio previene Alzheimer? Esperto invita alla cautela

Studio suggerisce terapia con Ibuprofene per chi è a rischio

Redazione ANSA ROMA

  Assumere precocemente una terapia a base di farmaci anti-infiammatori da banco, potrebbe impedire l'inizio dell'Alzheimer in chi è a rischio di svilupparlo.
    Basterebbe insomma una profilassi autosomministrata a base di ibuprofene a difendere dalla malattia. E' quanto ritiene di dimostrare uno studio apparso sul prestigioso Journal of Alzheimer's Disease e rilanciato da molte testate internazionali. Ma, "i dati sono estremamente preliminari - mette in guardia Raffarele Antonelli Incalzi, professore di medicina interna e geriatria al Compus Biomedico di Roma - e i ricercatori piuttosto incauti, perché assumere ibuprofene per dieci anni tutti i giorni espone a rischio di danno epatico, renale e gastrico altissimo".
    Il team dell'Università della British Columbia, guidato da Patrick McGeer, è lo stesso che nel 2016 aveva annunciato di aver sviluppato un test in grado di diagnosticare l'Alzheimer attraverso la misurazione della concentrazione della proteina beta amiloide peptidica 42 (Abeta42) secreta nella saliva: nella maggior parte degli individui, il tasso di produzione di Abeta 42 è quasi identico, mentre gli individui che ne presentano un tasso due a tre volte superiore sono destinati a sviluppare l'Alzheimer. Abbiamo visto, spiega McGeer, "che questi livelli risultano elevati durante tutta la loro vita e che il test per individuare la predisposizione può essere effettuato in qualsiasi momento". Coloro che ne presentano livelli elevati a 55 anni dovrebbero "assumere ibuprofene quotidianamente", poiché è in grado di smorzare la risposta infiammatoria dovuta alla proteina Abeta 42, che porta alla morte delle cellule nervose associata all'Alzheimer. "Servono ulteriori studi sull'uomo che verifichino nel tempo gli effetti della profilassi con Ibuprufene gli unici risultati riportati riguardano studi su animali - spiega all'ANSA Antonelli Incalzi, presidente della Società Italiana di Geriatria e Gerontologia (Sigg) -.
    Diversamente da quanto raccomandano gli autori dello studio, al momento non ci sono evidenze che la giustifichino". 
   

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