"Sono affascinata da sempre dal capire cosa c'è dentro di noi a livello microscopico, da quando mi hanno diagnosticato la malattia a 12 anni. Se non lo faccio io, ho pensato, chi altro si deve mettere in gioco?". Emma Della Libera ha solo 21 anni, ma le idee chiare. Per cercare di conoscere la malattia genetica da cui è affetta, l'atassia di Friedreich, per cui non esistono terapie, ha deciso di lasciare Vascon di Carbonera, nel trevigiano, e di spostarsi a Trento, dove frequenta il secondo anno del corso in scienze e tecnologie biomolecolari al Cibio, il Centro di biologia integrata dell'Università trentina. L'ateneo sta inoltre raccogliendo fondi per trovare terapie a malattie genetiche, con la campagna di crowdfunding sul correttore genomico, lanciata un anno fa. Tra i donatori anche l'imprenditore milanese Gino Del Bon: la sua nipotina ha una malattia genetica, la Sindrome di Cornelia de Lange, e lui - appena ha saputo della scoperta fatta a Trento, ha donato personalmente 336.000 euro.
ha sottolineato Del Bon - è stato vedere il laboratorio di Trento e questi giovani studenti e ricercatori con tanto entusiasmo. Allora mi sono detto: devo fare qualcosa". La famiglia Della Libera invece ha creato l'associazione 'Ogni giorno per Emma', che assieme all'associazione 'Per il sorriso di Ilaria Montebruno', ha donato 345.000 euro per la campagna 'Correttore genomico' all'ateneo trentino, che ora utilizzerà i fondi per studiare una possibile terapia per la malattia di Emma, ma non solo. Perché altri fondi si sono aggiunti: 112.000 euro raccolti grazie alla donazione di moltissimi trentini, ma anche di persone dal resto d'Italia e dall'estero.
L'obiettivo minimo, 160.000 euro per far partire le linee di ricerca, è stato quasi quintuplicato, al punto che sono stati complessivamente raccolti 753.000 euro. I fondi donati dalle associazioni e da Del Bon serviranno a finanziare linee di ricerca specifiche sull'atassia di Friedreich e sulla sindrome di Cornelia de Lange. "L'obiettivo dei due progetti, di durata triennale, è adattare il correttore genomico alla riparazione delle lesioni nelle cellule dei pazienti per ottenere una prova di principio della possibilità di impiegare il metodo per affrontare malattie genetiche rare", spiega Alessandro Quattrone, direttore del Cibio.