Le procedure attualmente aperte dall'Unione europea nei confronti dell'Italia sono 79, di cui 71 per violazione del diritto Ue, 8 per mancato recepimento delle direttive. Dopo una riduzione del 50% tra il 2017 e il 2018 (da 119 a 57) nel numero di procedure di infrazione, nel 2019 si è registrato un aumento di circa il 40%, per un esborso totale di 301 milioni di euro.
Sono i numeri presentati da Daniela Corona, docente di Diritto dell'Unione Europea presso l'Università Luiss Guido Carli, e contenuti in uno studio realizzato da Luiss in collaborazione con la testata giornalistica Sanità Informazione.
I dati sono stati presentati nel corso del II Convegno Nazionale sull'inadempimento di direttive comunitarie e obblighi risarcitori dello Stato nell'ambito sanitario. L'analisi mira a quantificare l'esborso annuo da parte dell'Italia nei confronti dell'Ue in termini di sanzioni conseguenti alle procedure di infrazione.
"Solo nel 2018 l'Italia ha sborsato 149 milioni di euro. Per la vicenda delle acque reflue in 15 anni sono stati pagati 25 milioni. Sono tutti soldi buttati, nel nostro Paese c'è una situazione incancrenita. Il messaggio per l'attuale governo è che bisogna studiare e fare i compiti", ha affermato Daniela Corona.
Dal 2012 ad oggi, l'Italia ha pagato 76 milioni per i contributi a favore delle imprese per l'assunzione di disoccupati con contratto formazione da convertire poi in contratti a tempo indeterminato contrari alle norme Ue. Sono invece 200 i milioni pagati in 4 anni a causa delle discariche abusive (attualmente sono 55 quelle da regolarizzare) e 25 nel solo 2019 per il trattamento delle acque reflue (procedura iniziata addirittura 15 anni fa). In tema di Direttive europee non recepite dall'Italia, anche il caso dei medici ex specializzandi che tra il 1978 ed il 2006 non hanno ricevuto il corretto trattamento economico. Il caso risale agli inizi degli anni '80, quando furono promulgate le direttive europee che imponevano a tutti gli Stati membri di corrispondere il giusto compenso ai medici durante gli anni della scuola post-laurea. Il mancato adempimento ha creato un enorme contenzioso davanti ai Tribunali di tutta Italia da parte dei camici bianchi ingiustamente discriminati portando anche ad una condanna dell'Italia da parte della Corte di Giustizia europea, con le sentenze del 1999 e del 2000.
"Ci vuole più coraggio da parte dei giudici" per risolvere la questione del termine di prescrizione relativo ai contenzioni avviati dai medici che da ex specializzandi non hanno avuto un adeguato trattamento economico". Lo ha detto Sergio Di Amato, già presidente della terza sezione civile della Suprema Corte, intervenendo al Convegno su "Inadempimento degli obblighi comunitari: responsabilità degli Stati membri in ambito sanitario", che si è tenuto oggi alla Luiss di Roma.
"Il problema della prescrizione è ancora aperto - ha spiegato il magistrato - la Cassazione con una sentenza del 2011 ha fatto decorrere il termine dalla data delle legge del 1999 che attribuiva un indennizzo soltanto agli specializzandi che erano stati destinatari di un giudicato amministrativo favorevole". "Ma c'è un'incongruenza giuridica. La situazione di incertezza si è risolta nel 2011 e quindi credo che la prescrizione debba decorrere proprio da quell'anno". "Mi auguro quindi che la Cassazione possa tornare sui suoi passi - ha concluso - e in mancanza mi auguro un intervento della Corte europea di giustizia che deve essere sollecitata da un giudice nazionale".
Il contenzioso, seppur sorto diversi anni fa, continua ad essere di attualità. Tra i docenti che hanno preso parte al convegno di oggi Marco Tortorella, patrocinante in Cassazione ed esperto del contenzioso: "Né l'ordinamento europeo, né quelli degli Stati membri disciplinano la responsabilità degli Stati stessi. Al loro posto lo fanno le sentenze dei giudici", ha spiegato . "Purtroppo - ha aggiunto - in Italia gli alti costi burocratici sono una risposta del legislatore al proliferare delle liti civili. Alcune sentenze di vario grado, inclusa quelle di Cassazione, osservano che le Direttive Ue chiedono una adeguata remunerazione ma non specificano né il quantum, né l'inquadramento, né chi deve erogare il contratto. Lasciano insomma discrezionalità allo Stato membro, che solo sedici anni dopo il decreto 257/91 (ovvero nel 2006) ha portato la retribuzione del medico specializzando da 11.300 a circa 26 mila euro annui".
"I dati diffusi oggi dall'Università Luiss e da Sanità Informazione sono allarmanti. Sono soldi pubblici che, con una gestione più virtuosa dello Stato, potrebbero essere impiegati per aumentare la qualità dei servizi offerti", ha commentato Massimo Tortorella, presidente di Consulcesi, network legale che opera a fianco dei medici.