"Ora c'è un dovere, da parte del ministro della Salute, di adottare tutte quelle tecniche immediate affinché questo diritto sia da oggi esigibile. È la conclusione più importante che traiamo dalla sentenza della Corte Costituzionale". A dirlo in conferenza stampa è Marco Cappato, tesoriere dell'Associazione Luca Coscioni riferendosi alla sentenza della Corte Costituzionale sul suicidio assistito, di cui ieri sono state rese note le motivazioni. "Da oggi quelle persone che rientrano nelle condizioni stabilite dalla Consulta hanno già diritto a essere aiutate a morire: non serve una legge del Parlamento - prosegue - Anche i pareri del comitato etico sono elementi che non possono fermare la possibilità di ricevere questo aiuto da parte di un medico che lo voglia fare. Non c'è un problema dell'obiezione di coscienza: qui c'è la libertà del medico che decide di aiutare il paziente. Non si tratta del medico specialista come nella legge sull'aborto. Il problema dell'obiezione non è mai stato sul tavolo e non lo è dopo la sentenza della Corte".
Depositate le motivazioni della sentenza sul fine vita
Saranno le strutture pubbliche del Servizio sanitario nazionale a verificare l'esistenza delle condizioni che rendono legittimo l'aiuto al suicidio nei casi indicati dalla Corte costituzionale e delle relative modalità di esecuzione. Casi che ricorrono quando l'aiuto è prestato a una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale, come l'idratazione e l'alimentazione artificiale, affetta da una patologia irreversibile, fonte di intollerabili sofferenze fisiche o psicologiche, ma che resta tuttavia pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli. Mentre un organo collegiale terzo, cioè il Comitato etico territorialmente competente, garantirà la tutela delle "situazioni di particolare vulnerabilità".
Nessun obbligo di prestare l'aiuto al suicidio ricadrà sui medici: sarà "affidato alla coscienza del singolo scegliere se prestarsi ad esaudire la richiesta del malato". Lo chiarisce la Corte Costituzionale nelle motivazioni della sentenza 242 con cui il 25 settembre scorso ha dichiarato incostituzionale l'articolo 580 del codice penale, proprio nella parte in cui non esclude l'incriminazione di chi presta aiuto al suicidio in questi casi. Una sentenza da tanti ritenuta "storica" (a partire dall'Associazione Coscioni) ma che era stata contestata da una parte della politica, del mondo cattolico e dei medici. Dentro c'è un nuovo richiamo al Parlamento a intervenire con una "compiuta disciplina", dopo la richiesta caduta nel vuoto due anni fa, quando la Corte sospese la decisione proprio per dare il tempo alle Camere di legiferare.
"In assenza di ogni determinazione da parte del Parlamento", la Corte ha ritenuto di "non potersi esimere" dal pronunciarsi sulla questione posta dai giudici di Milano del processo a Marco Cappato, che accompagnò il Svizzera il Dj Fabo, rimasto cieco e tetraplegico dopo un incidente stradale. Perchè, come spiega nelle motivazioni, "l'esigenza di garantire la legalità costituzionale deve prevalere su quella di lasciare spazio alla discrezionalità del legislatore". E se la dichiarazione di incostituzionalità, come in questo caso, rischia di creare dei vuoti di disciplina, la Corte deve preoccuparsi di evitarli, ricavando dal sistema vigente i criteri di riempimento, in attesa dell'intervento del Parlamento. Vuoti che la Corte ha colmato facendo riferimento alla disciplina della legge sulle Dat, le dichiarazioni anticipate di trattamento. Così come prevedono quelle disposizioni, la volontà di morire dovrà essere documentata in forma scritta o con la video registrazione; il medico dovrà prospettare le possibili alternative e prestare ogni sostegno al paziente, anche avvalendosi dei centri di assistenza psicologica; e ci dovrà essere come pre-condizione il coinvolgimento del paziente in un percorso di cure palliative. Queste condizioni valgono per i fatti successivi alla sentenza. E quindi non possono essere richieste per i casi anteriori, come quello di Dj Fabo. Per questi, occorrerà che l'aiuto al suicidio sia stato prestato con modalità anche diverse da quelle indicate, ma che diano garanzie sostanzialmente equivalenti.