E' stato l'allevamento, iniziato nell'Età del Ferro, oltre 5.000 anni fa nelle steppe dell'attuale Kazakistan, a modificare il Dna dei cavalli primitivi, ma è stata l'addomesticazione più 'recente', iniziata circa 2.300 anni fa, a portare ad un impoverimento della loro diversità genetica. Lo spiegano sulla rivista Science i ricercatori dell'università di Copenhagen, guidati da Ludovic Orlando e Pablo Librado. Un risultato cui sono arrivati esaminando il genoma di antichi cavalli addomesticati in Russia, Siberia e Kazakhstan, vissuti tra i 4.100 e 2.300 anni fa.
L'analisi ha così mostrato che la selezione fatta dagli antichi allevatori sciiti ha portato a zampe anteriori più robuste, un maggiore sviluppo delle ossa carpali, più varietà dei colori del loro mantello, e una mutazione genetica legata allo sprint sulle corte distanze. Il loro genoma mostra persino le tracce della 'sete' umana di latte, con le varianti genetiche associate all'aumento della lattazione, in quanto anche questi animali erano usati come fonte di latte.
I ricercatori hanno inoltre verificato che c'è stato un crollo demografico negli ultimi 2.300 anni, che ha portato ad una riduzione della diversità genetica tra i cavalli addomesticati e che si vede riflesso nell'aumento di mutazioni dannose nel genoma equino, che hanno ridotto la loro forma fisica. Nello stesso periodo infatti, le tecniche di riproduzione hanno coinvolto un numero sempre più ridotto di stalloni, per arrivare al punto in cui oggi quasi tutti i cavalli addomesticati hanno, virtualmente, lo stesso cromosoma Y, o molto simile.
''Nei primi tre millenni di addomesticamento dei cavalli è stata preservata una grande diversità della discendenza maschile, che è poi svanita negli ultimi 2000 anni'', commenta Cristina Gamba, uno dei ricercatori.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA