Cresce la preoccupazione per il virus dell'influenza aviaria H7N9, individuato in Cina nel 2013 e tornato a colpire dalla fine del 2016: per la prima volta è stato isolato un ceppo che è trasmissibile e letale nei furetti, considerati il miglior modello per studiare l'influenza umana in laboratorio. Lo studio, che evidenzia anche i primi tentativi del virus di diventare resistente ai farmaci, è pubblicato su Cell Host & Microbe dal gruppo di Yoshihiro Kawaoka, virologo dell'Università di Tokyo e di quella del Wisconsin a Madison.
"Questo studio apre scenari inquietanti, perché dimostra la facilità di trasmissione del virus fra i mammiferi", spiega Giuseppe La Torre, del Dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive dell'Università Sapienza di Roma. "L'attenzione del mondo scientifico su questo virus è elevatissima fin dalla sua scoperta - ricorda l'esperto - perché è altamente patogeno e in grado di causare complicanze severe di insufficienza respiratoria e scompenso multi-organo".
Ad oggi sono all'incirca 1.600 le persone infettate (quasi tutte per contatto col pollame) e di queste oltre 600 sono decedute. Ad alzare l'allerta è stato un nuovo ceppo di H7N9 isolato da un paziente cinese deceduto per l'aviaria, nonostante la terapia con il farmaco contro l'influenza basato sulla molecola oseltamivir. Nei suoi campioni sono state trovate due versioni dello stesso ceppo virale: quella circolante in Cina, sensibile ai farmaci, e una mutante resistente all'oseltamivir.
Queste due tipologie di virus sono state ricreate in laboratorio e confrontate con un vecchio H7N9 a bassa patogenicità. Tutti e tre i virus hanno dimostrato di crescere nelle cellule dell'apparato respiratorio umano coltivate in provetta, anche se il mutante resistente all'oseltamivir si riproduce con minore efficienza. I tre ceppi hanno inoltre causato influenza in topi, furetti e macachi. Test sui furetti hanno dimostrato che i tre virus possono essere trasmessi con le goccioline di saliva emesse col respiro. Due dei tre furetti infettati col virus attualmente presente in Cina sono deceduti.
"Non voglio creare allarme - dice Kawaoka -, ma è solo una questione di tempo prima che il virus resistente acquisisca una mutazione che gli consenta di crescere bene, aumentando la sua probabilità di diventare letale". Capire quali mutazioni potrebbero provocare la trasformazione è cruciale, ma al momento - spiega Kawaoka - non è possibile condurre questi studi negli Usa, dove dal 2014 vige una moratoria che ha bloccato la ricerca sui supervirus. "Dal punto di vista bioetico - controbatte La Torre - è altamente criticabile generare virus che non esistono in natura e correre il rischio che queste bombe biologiche letali si diffondano in seguito a un incidente in laboratorio".
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