Come in un test di paternità, l'analisi di circa 2.000 vitigni tra selvatici e coltivati e i relativi 295 profili genetici dedotti, confrontati con quelli di 1.500 viti euroasiatiche, indica che la Sicilia è stata al centro dello sviluppo della viticoltura in Italia. Il risultato, tutto italiano, è pubblicato sulla rivista Frontiers in Plant Science si deve al gruppo coordinato da Francesco Carimi e Roberto De Michele, dell'Istituto di Bioscienze e Biorisorse del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Ibbr-Cnr) di Palermo.
"L'analisi permette di ricostruire la storia della domesticazione e coltivazione della vite in Italia e in particolare nell'Italia Meridionale", ha detto Carimi all'ANSA. La ricerca dimostra, aggiunge, che "la Sicilia è stata un centro molto importante, dove si è cominciato a coltivare la vite già nell'età del rame intorno a 6.000-5.000 anni fa. Ipotesi già avanzata nel 2017 da ricercatori che hanno analizzato i residui di vino contenuti in anfore provenienti dal monte Kronio, ad Agrigento, databili all'età del rame".
Gli studiosi hanno analizzato 170 varietà coltivate e 125 selvatiche presenti in Sicilia e nelle isole minori, e, spiega Carimi, "confrontando i profili genetici di queste varietà con quelli di 1500 viti euroasiatiche abbiamo visto che esiste una netta separazione genetica tra le viti 'siciliane' e tutte le altre, mentre strette affinità si sono trovate tra i vitigni siciliani e dell'Italia meridionale oggi coltivati e le popolazioni spontanee raccolte nell'isola". Ciò permette di ipotizzare che le varietà spontanee abbiano contribuito allo sviluppo di varietà coltivate in Sicilia e che queste siano state successivamente diffuse lungo l'Italia meridionale.
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