Ora sappiamo cosa c'è sotto la faccia nascosta della Luna: coperti da una distesa di polvere grigia finissima, la cosiddetta regolite lunare, si susseguono vari strati prodotti dagli impatti che hanno modellato la superficie lunare nel corso di miliardi di anni. A vederli per la prima volta, fino a una profondità di 40 metri, è stato il radar della missione cinese Chang'è 4, che nel gennaio 2019 ha portato il rover YuTu-2 sul fondo del cratere Von Karman, all'interno del più grande bacino da impatto lunare, il Polo Sud-Aitken.
I dati raccolti nei primi due giorni di misurazione, utili a identificare potenziali risorse per le future missioni umane, sono pubblicati sulla rivista Science Advances in uno studio che porta anche la firma di tre ricercatori italiani: Sebastian Lauro ed Elena Pettinelli, dell'Università Roma Tre, e Francesco Soldovieri, dell'Istituto per il rilevamento elettromagnetico dell'ambiente del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Irea). Gli stessi ricercatori hanno fatto parte del gruppo italiano che ha scoperto l'acqua liquida sotto il polo Sud marziano nel 2018.
"Quello che ci ha più sorpreso - afferma Elena Pettinelli - è la straordinaria trasparenza del terreno di Von Karman alle onde radio, che ci ha permesso di vedere distintamente le strutture geologiche fino a 40 metri di profondità: solo un primo assaggio di quello che si trova sotto e che rende la crosta della faccia nascosta così diversa da quella visibile e ben più nota".
La stratigrafia del sottosuolo dell'altra faccia della Luna, vista dal radar del rover Yutu-2 (fonte: CLEP/CRAS/NAOC)
Se la faccia visibile ha una crosta più sottile caratterizzata da larghi bacini chiamati mari, riempiti di lava basaltica proveniente dal mantello ormai solidificata, la faccia nascosta ha invece una crosta più spessa, sostanzialmente priva di mari, e costituita per lo più dal materiale crostale originario formatosi miliardi di anni fa.
"Abbiamo comunque dovuto lavorare sodo all'analisi dei dati - aggiunge Sebastian Lauro - per estrarre le informazioni riguardanti i dettagli della stratigrafia e, soprattutto, per evitare errori nell'interpretazione dei dati".
"Alla fine - prosegue Francesco Soldovieri - abbiamo individuato l'algoritmo giusto e, applicando un approccio noto come inversione tomografica, siamo riusciti a individuare la presenza dei tipici prodotti di impatto sotto uno spesso strato di regolite" profondo 12 metri.
Questo materiale è frutto di un lungo processo di frantumazione e aggregazione dovuto all'impatto di micrometeoriti e all'interazione del suolo con la radiazione solare. Sotto, si alternano strati ricchi di blocchi derivanti dalle espulsioni di materiale dai vicini crateri generati dall'impatto con asteroidi e strati più fini fino ad una profondità di 40 metri, limite di indagine del radar.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA