Nel mondo sono oltre 800 milioni le persone che vivono all'ombra di un vulcano attivo: dai vulcani italiani, Vesuvio in testa, fino a quelli degli Stati Uniti, come il Monte Sant'Elena, il problema comune è mettere a punto strategie vincenti per mitigare i rischi di un'eventuale eruzione. E' questo l'obiettivo della ricerca pubblicata sul Journal of Applied Volcanology, che ha raccolto anche una statistica delle vittime dei vulcani nell'arco di 500 anni: si calcola siano state quasi 300.000, sia durante le eruzioni sia durante le fasi di 'quiete', come è accaduto alla famiglia di turisti che ha perso la vita nella Solfatara di Pozzuoli.
La ricerca,del gruppo dell'università britannica di Bristol coordinato da Sarah Brown, ha passato al setaccio cronache storiche contenute in antichi documenti, rapporti ufficiali e articoli pubblicati dalla stampa. E' emerso così che, tra il 1500 e il 2017, i vulcani hanno fatto più di 278.000 vittime e che la maggior parte delle vittime viveva nelle vicinanze del vulcano. Si contano, però, anche turisti, vulcanologi, giornalisti e soccorritori. Quasi la metà degli incidenti è stata registrata entro i primi 10 chilometri dal cratere, mentre gli altri sono avvenuti entro il raggio di 170 chilometri.
La ricerca ha calcolato inoltre i diversi rischi, a seconda dalla distanza dal luogo dell'eruzione. In prossimità del vulcano, per esempio, le minacce maggiori sono le cosiddette 'bombe vulcaniche', cioè gocce di lava espulse nell'aria, che prima di raggiungere il suolo si raffreddano e si solidificano. Fra 5 e 15 chilometri dal cratere, invece, c'è il rischio delle colate di lava, della caduta di ceneri e dell'esposizione ai gas liberati dall'eruzione. Se poi i vulcani attivi si trovano su isole, il materiale liberato dall'eruzione potrebbe provocare uno tsunami.
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