Stefano Bonaccini, modenese, 53 anni, iscritto al Pd, ci crede nella possibilità di riconfermarsi alla guida della Regione Emilia-Romagna, riuscendo nel compito di difendere il feudo del centrosinistra dal tentativo di conquista leghista. Presidente uscente, negli ultimi anni ha guidato anche la Conferenza delle Regioni, ottenendo la conferma nel ruolo anche quando la maggioranza delle regioni è passata al centrodestra. Nella sfida ha vinto grazie a una coalizione ampia, che comprendeva, oltre al Pd, Emilia-Romagna coraggiosa (un rassemblement della sinistra 'governista'), Verdi, Volt, +Europa e una lista civica a suo nome. Nella sua lunga carriera politica è stato assessore in Comune a Modena, poi segretario nella sua città dei Ds, prima di guidare il Pd in Emilia-Romagna. E' stato eletto per la prima volta nel novembre 2014, con una larga maggioranza sullo sfidante di allora, l'attuale sindaco leghista di Ferrara Alan Fabbri, ma con un'affluenza al voto bassissima, circa il 37%.
Si trattava delle consultazione che hanno fatto seguito alle dimissioni di Vasco Errani, causate da una vicenda giudiziaria poi conclusasi con una piena assoluzione. Nel suo mandato da presidente, Bonaccini si vanta di aver visitato ogni singolo comune dell'Emilia-Romagna e ha cercato di mantenere la campagna elettorale sui temi locali, tenendosi alla larga dai leader nazionali, con qualche rara eccezione per il segretario Pd Nicola Zingaretti. Ha incentrato la sua corsa sul riconoscimento dei risultati raggiunti su temi come la sanità, il lavoro e l'economia, affermando che se l'Italia fosse come l'Emilia-Romagna sarebbe un posto migliore.
Fra le sue proposte per la regione c'è un investimento per rendere gratuiti e accessibili per tutti gli asili nido e il trasporto per gli studenti. In questi anni, anche se concentrato sul governo locale, non è stato avulso dal dibattito interno al Pd e al centrosinistra: allievo della scuola Pci, prima si è avvicinato a Renzi, per poi prenderne le distanze sostenendo, alle ultime primarie, l'attuale segretario Zingaretti. La sua campagna elettorale è stata un tour de force, cercando di raggiungere più luoghi possibile. I suoi avversari lo hanno accusato di nascondere il simbolo del Pd. Lui si è giustificato sostenendo che, essendo candidato per una coalizione, non poteva utilizzare il simbolo di un solo partito nei manifesti.