La Procura di Bologna ha chiuso
l'inchiesta sul 30enne di origini albanesi che a inizio ottobre
ha tentato di consegnare al fratello, detenuto nel carcere della
Dozza, microtelefoni cellulari e smartphone per comunicare con
l'esterno, utilizzando un drone. "Ora valuteremo gli atti e ci
difenderemo", commenta l'avvocato Stella Pancari che lo assiste.
Al giovane è stato notificato un avviso di fine indagine ed è
contestato il reato di tentata indebita introduzione di
dispositivi idonei alla comunicazione da parte di detenuti. Dopo
essere stati informati dalla polizia di frontiera dell'ingresso
in Italia del 30enne, con precedenti alle spalle, gli
investigatori della Polizia avevano scoperto che aveva prenotato
una stanza in un albergo e che, con una valigetta, si era
appostato in via del Gomito, vicino alla carcere, per alcuni
sopralluoghi.
Secondo quanto accertato dalle indagini portate avanti in
collaborazione con la polizia penitenziaria, che come disposto
dal procuratore Giuseppe Amato sono state rafforzate per
contrastare il rischio dell'introduzione di apparecchi per
comunicare nella casa circondariale, il suo obiettivo era
sorvolare la struttura con il drone e fare avere i
microtelefoni, adeguatamente imballati, al fratello. Il 30enne
era stato perquisito ed erano state trovate batterie per
alimentare il drone, due smartphone e tre microtelefoni con
tanto di sim e cavi di connessione. Qualche anno fa un fratello
dell'indagato, in carcere a Verona, era finito nei guai per aver
postato una foto sui social, dall'istituto penitenziario.
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