"No, non riesco proprio ad
abituarmici". Comincia così il lungo post che il jazzista Enrico
Rava ha pubblicato sul proprio profilo fb in cui inizialmente
manifesta la propria insofferenza per non poter viaggiare, molto
per le restrizioni imposte dal Covid, un po' anche per una
stenosi spinale che lo affligge. Ma è solo l'inizio, perché
subito dopo il trombettista, che oggi ha 81 anni, ricorda i sei
decenni trascorsi a suonare in giro per il mondo. E lo fa col
tono vivace di chi ha vissuto esperienza non comuni, ma anche un
po' amaro, dovuto all'irrimediabilità del tempo e delle cose.
Rava si è esibito in ogni tipo di locale e in tutto il mondo:
dal "budello" Slug's al Lower East Side di New York alla fine
degli anni '60 - e lo ha fatto con "musicisti che solo un paio
d'anni prima" gli "sembravano irraggiungibili" come Albert
Ayler, Archie Sheep, Hank Mobley - al raffinatissimo Blue Note
di Tokyo, di cui rammenta un "sistema di amplificazione
strepitoso, un pubblico eccezionale e una cucina
indimenticabile".
Una lunga carrellata nel passato personale, che è poi anche
una parte della storia del jazz italiano e non solo, passando
per Berlino Ovest, dove suonò nel 1988 per dieci giorni con
Cecil Taylor, "giorni indimenticabili", e per la Londra dei
Beatles, nel 1965. La capitale inglese all'epoca era la città
della "musica sperimentale, delle minigonne, degli hippies,
delle canne a gogo e tutto il resto".
Insomma, un lungo viaggio intorno al globo per ritornare
infine in Italia, "veramente meravigliosa e che non ce n'è per
nessuno"; con una punta velenosa: "Peccato gli italiani...". Un
lungo messaggio che si chiude con una malinconica ma intensa
foto di lui sul divano nell'atto di riflettere, la tromba
affianco tenuta per mano.
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