(di Francesco De Filippo)
Sull'immaginaria linea cronologica
dell'italiano medio negli anni intorno alla seconda guerra
mondiale sono posizionati, ben chiari, alcuni eventi: tra
questi, l'annuncio di Mussolini delle leggi razziali il 18
settembre 1938 a Trieste, il processo di italianizzazione della
comunità slava, l'entrata in guerra, le sevizie naziste, le
foibe. C'è un buco nero prima di quest'ultimo capitolo: cosa è
accaduto quando i fascisti varcarono i confini invadendo la
Jugoslavia. Una mostra, 'A ferro e fuoco', che si inaugura il 7
aprile (in digitale), squarcia l'oscurità e costringe a guardare
nuovi orrori e a comprendere le ragioni per cui quella parentesi
se non nascosta è stata almeno taciuta. Perché si tratta delle
violenze, degli eccidi perpetrati dagli italiani.
In realtà gli storici ne hanno parlato, ma l'argomento è
rimasto confinato nei dibattiti accademici o tra esperti,
associazioni, (pochi) testimoni. Lo scrittore napoletano Giacomo
Scotti, scomodo al di qua e al di là del confine, che fece
conoscere la tragedia di Goli otok, il gulag di Tito, ha scritto
libri su quegli anni, ma in realtà l'Italia non ha mai
affrontato appieno l'argomento. Nella mostra il Paese
(finalmente) si specchia, non per cercare colpevoli o fomentare
animi quanto per fare i conti con se stesso con pacata lucidità.
"Altri Paesi, come la Germania, hanno mostrato più coraggio
nel fare i conti con il proprio passato oscuro. Oggi, dopo 80
anni, speriamo finalmente sia venuto il momento giusto",
sintetizza lo storico Raoul Pupo, curatore della mostra. "A
ferro e fuoco. L'occupazione italiana della Jugoslavia 1941-43"
(www.occupazione italianajugoslavia41-43.it), ha il patrocinio
della Camera dei Deputati ed è stata organizzata in occasione
dell'80/o anniversario dell'attacco italo-tedesco alla
Jugoslavia (ieri) dall' Istituto Parri, dall'Istituto regionale
storia della Resistenza e dell'Età contemporanea in Fvg e
dall'Università di Trieste, con la partecipazione della
Biblioteca nazionale slovena e degli studi di Trieste e il
contributo della Regione Fvg.
Dalle 10 sezioni in cui è articolata, i 54 pannelli, altro
materiale e le 81 interviste a studiosi, emerge un panorama
raccapricciante. Mussolini aveva già deciso di attaccare la
Jugoslavia nell'estate del 1940, ma era stato bloccato da
Hitler. I tedeschi il 6 aprile 1941, seguiti da italiani e
ungheresi, invasero la Jugoslavia e distrussero il regno dei
Karađórđević; il territorio fu spartito fra i vincitori ma il
Paese precipitò in un inferno. "Guerra di liberazione contro gli
occupatori; guerra civile fra ustašcia croati, četnizi serbi,
domobranzi sloveni, partigiani comunisti; guerra rivoluzionaria
per la creazione di uno stato socialista, feroci repressioni
antipartigiane; sterminio degli ebrei, tentativi genocidari ai
danni di popolazioni dell'etnia sbagliata", ricordano gli
organizzatori. "Di quel vortice di violenza - indica Pupo -
le truppe italiane non furono semplici spettatrici, ma
protagoniste. Una delle pagine più buie della nostra storia. Per
questo è poco conosciuta e si è preferito dimenticarla".
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