Un romanzo che attraversa tre
generazioni, le prime due - quelle di Norina e di Amila - in
fuga dalla guerra, quel martoriato territorio dei Balcani; la
terza molto meno traumatica seppure discenda dalla prima e di
quella vada a cercare le radici. E' la generazione di Simon,
istroaustraliano, figlio della sorella di Norina, scappate
insieme per poi separarsi e non ritrovarsi mai più. Federica
Marzi ha illustrato così il suo romanzo d'esordio, La mia casa
altrove (Bee estensioni), presentato ieri sera nell'ambito della
rassegna "I Colloqui dell' Abbazia. Il viaggio della carta
geografica di Livio Felluga", curata da Margherita Reguitti e da
Elda Felluga, che si svolge nella Abbazia di Rosazzo.
Un romanzo dove punto di riferimento geografico e culturale
nonché riparo sicuro da artiglieria e bombardamenti, è Trieste,
luogo negoziale e di sutura, sorta di enorme e benevola casa
famiglia.
"Ma anche romanzo d'amore", tiene a sottolineare l'autrice:
quello di Norina - "ruvida, un po' ottocentesca, anche nei
sentimenti" - quello dell'altra generazione, più fluido ma
sempre con il respiro corto del confine, e quindi dell'
appartenenza. Non potrebbe essere diversamente: la Marzi stessa
delle barriere doganali e dell'effimera separazione dei pensieri
che queste comportano - come se un passaggio a livello potesse
interrompere un flusso culturale, uno spirito - è simbolo
vivente. E contemporaneamente ne rappresenta il tentativo di
superare le scissioni, parlando correntemente sei lingue e vari
dialetti. Tuttavia, guarda caso, il romanzo è stato scritto in
italiano, "una scelta stilistica, definisce questa opzione.
"Scrivendolo mi sono sentita una ventriloqua - ha spiegato,
incalzata dalle domande di Margherita Reguitti - perché la
lingua di Norina è come se mi fosse venuta fuori dal passato".
Infine, deve ammettere: "Provengo da una famiglia di frontiera e
io stessa ho vissuto quasi sempre in città di frontiera".
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