L'aggravante del fatto commesso contro un ascendente, che comporta la pena dell'ergastolo, è stata contestata ad Antonio Tagliata, il 18enne che ha ucciso la mamma della fidanzatina e ferito gravemente il padre, e alla stessa sedicenne, accusati di omicidio volontario in concorso. Non è stata invece ancora formulata l'aggravante della premeditazione, per la quale occorre poter definire, con certezza, come è nato il disegno criminoso e in quale lasso di tempo è stato ideato. Il biglietto in cui Antonio si autoaccusava del delitto - scritto presumibilmente pochi minuti prima - per scagionare il padre, che in passato ha avuto problemi con la giustizia, e il fatto che il giovane sia andato a casa dei genitori della ragazza armato di tutto punto, non bastano infatti per far scattare automaticamente l'ipotesi dell'omicidio premeditato.
''Ho visto 'fumo', e ho fatto fuoco di copertura''. Con un linguaggio da videogame, Antonio Tagliata ha spiegato davanti al Gip, nell'udienza di convalida, cosa è accaduto il 7 novembre in casa di Roberta Pierini e Fabio Giacconi, i genitori della fidanzata sedicenne. Tagliata ha detto che Giacconi era seduto sul divano, la moglie in piedi fumava nervosamente, e la discussione è salita di tono: ''Il padre aveva uno sguardo minaccioso, ha detto 'adesso basta' ed è venuto verso di me: ho avuto paura, non ho capito più niente. Gli occhiali mi si sono appannati, ho sentito la mia ragazza che diceva 'spara, spara!', e ho sparato''. Ma, ha aggiunto Tagliata, ''ho sparato a caso''. Il 18enne sostiene di non ricordare nulla della sequenza dei colpi esplosi con la cal. 9X21 che si era portato dietro insieme a tre caricatori.
Tagliata ha ucciso Roberta Pierini con un colpo alla testa quando la donna, ferita al fianco e al braccio, era già a terra. E' stata ''un'esecuzione'' scrive il Gip Antonella Marrone nell'ordinanza che dispone la custodia cautelare per il 18enne reo confesso dell'omicidio della madre della fidanzata e del ferimento del padre.
Una vera ''esecuzione''
I giudici hanno avallato la tesi del pm Andrea Laurino e del procuratore minorile Giovanna Lebboroni: i ragazzi avrebbero agito insieme il 7 novembre scorso uccidendo la madre di lei, Roberta Pierini, e ferendo gravemente il padre Fabio Giacconi, che osteggiavano il loro amore. Se Antonio ha confessato di aver sparato gli otto colpi andati a segno nella casa di via Crivelli, la fidanzata lo accompagnò, armato, dai propri genitori, senza poi mostrare segni di "dissociazione" da una vera "esecuzione". Questo il quadro prospettato dall'accusa, che contesta ad entrambi i reati di omicidio volontario, tentato omicidio e porto abusivo d'arma. C'è "piena gravità indiziaria", ha detto il procuratore minorile Lebboroni nella ricostruzione che suggerisce un'azione comune dei fidanzati, anche se con profili di dolo diversi: i ragazzi arrivano sotto il palazzo, lui mostra alla 16enne la pistola (lei sostiene di aver pensato che fosse un'arma giocattolo ma non viene creduta dal giudice), salgono nell'appartamento e, in breve tempo, senza colluttazione, Antonio inizia a sparare senza che la minore si opponga o soccorra padre e madre. Poi scappano e vengono intercettati dai carabinieri nella stazione ferroviaria di Falconara Marittima.
"Non doveva finire così. Doveva essere solo un chiarimento con i miei genitori", "sono rimasta impietrita quando Antonio ha estratto l'arma e ha sparato. Pensavo che fosse una pistola finta", ha raccontato la ragazza, ora reclusa in un istituto di pena minorile fuori regione. "Non volevo uccidere. Sono stato aggredito dal padre di lei e mi sono difeso", ha ribadito oggi il 18enne, che però aveva con sé la Beretta cal.9x21 e un munizionamento da 'guerra': tre caricatori e una scatola di proiettili, in tutto 86 pallottole. Dice di averli acquistati da un albanese ad Ancona per 450 euro. Fin qui la difesa comune dei ragazzi. A dividerli c'è la descrizione di quegli attimi drammatici. Davanti al Gip, nell'udienza di convalida tenuta nel carcere di Camerino, Antonio ha ripetuto che la fidanzata gli avrebbe gridato: "spara, spara", circostanza che lei smentisce. In aula, dopo una crisi di panico, per la quale è stato soccorso dal 118, e che ha causato una sospensione di mezz'ora, ha ripercorso la loro storia d'amore, la convivenza a casa di lui per 20 giorni, i rapporti difficili della ragazza con i genitori che, a suo dire, la maltrattavano. "Ha chiesto di lei, vuole proteggerla, non vuole scaricare le responsabilità", ha fatto sapere poi il suo difensore a margine dell'udienza.
''Confesso l'omicidio'' Sul giovane pesano le due lettere di scuse lasciate alla famiglia e il biglietto con una confessione preventiva dell'omicidio dei Giacconi. Antonio spiega che non voleva uccidere, ma intendeva solo proteggere il padre, che ha avuto in passato problemi con la giustizia, da eventuali sospetti per il delitto e ha fatto cenno di questo in una delle altre due lettere. Ciò fa supporre al procuratore minorile, almeno per Antonio, "un dolo non d'impeto". Per ora a nessuno dei due viene contestata la premeditazione. Gli inquirenti intanto lavorano per completare il puzzle del delitto. Durante la fuga, Antonio ha ammesso di aver gettato, oltre alla pistola e alle munizioni, anche il telefonino e il giubbotto scuro. Il suo cellulare non è stato ancora trovato mentre l'indumento è stato recuperato oggi: sarà importante ai fini degli esami Stub e dei rilievi su eventuali tracce ematiche. Ma gli accertamenti proseguiranno anche su alcuni supporti informatici, i pc dei due fidanzati e il telefonino della sedicenne. Presto verrà affidato l'incarico per una perizia come atto irripetibile: verrà eseguita, con l'avviso alle parti per il contraddittorio, una copia forense del contenuto dei supporti che servirà come prova nei processi.