Macedonia, il 30 settembre lo storico referendum sul nome
Ue e Usa sostengono il sì, ma non mancano le voci dissonanti
10 settembre, 16:58È la piccola ex repubblica jugoslava di Macedonia, dove il 30 settembre si terrà un referendum consultivo per confermare o meno il cambio di nome in "Repubblica della Macedonia del Nord", la soluzione alla decennale disputa con la Grecia raggiunta con gli storici accordi di Prespa, nel giugno scorso.
La Grecia ha sempre ritenuto la denominazione "Macedonia" come parte del suo patrimonio storico e culturale e la disputa ha portato al veto ellenico ai progressi di Skopje verso Ue e Nato. Ma il nuovo nome dovrebbe sbloccare l'impasse, rilanciando Skopje verso la futura adesione all'Unione e all'Alleanza atlantica.
Recenti sondaggi hanno indicato che la maggior parte dei macedoni è a favore dell'ingresso in Ue e Nato e voteranno sì al referendum, ma molti sono anche gli elettori che rimangono indecisi su cosa scegliere nel segreto dell'urna o se andare addirittura a votare. L'opposizione di indirizzo nazionalista, guidata dal partito VMRO-DPMNE, è contraria al cambio del nome, mentre le grandi potenze Ue - Germania e Austria in testa - oltre agli Usa hanno più volte ricordato agli elettori i benefici di votare sì. Mosca, al contrario, ha più volte fatto capire di non vedere di buon occhio l'ingresso della Macedonia nella Nato. Il processo del cambio del nome rimane complesso. Per essere valido, al referendum dovrà votare almeno il 50% degli elettori.
Se vincerà il sì, si apriranno le porte alle necessarie "modifiche costituzionali, che devono essere adottate, in toto, come prescrive l'accordo, entro la fine del 2018", spiega all'ANSA la costituzionalista Gordana Siljanovska-Davkova. "La nostra costituzione - aggiunge - prescrive una maggioranza dei due terzi del totale dei deputati per apportare modifiche, maggioranza che i partiti al governo ora non hanno", suggerisce.
In più, le diatribe parlamentari potrebbero essere "il catalizzatore di nuove massicce proteste anti-governative", con scenari speculari anche in Grecia, per l'opposizione all'accordo di Prespa da parte di frange politiche nazionalistiche, ha ammonito un recente rapporto di Stratfor, che ha ricordato simili manifestazioni registrate nel giugno scorso. Tenendo conto dei rischi e dei potenziali problemi, oltre al sacrificio del cambio del nome, Skopje sarà ripagata per i suoi sforzi? "Non c'è via d'uscita dal nostro isolamento se non attraverso un compromesso con i nostri vicini", risponde Denko Maleski, stimato politologo e primo ministro degli Esteri della Macedonia indipendente. "Ciò è stato chiaro dal 1991, specialmente alla luce del fatto che alleanze come Ue e Nato sono create per difendere gli interessi dei suoi membri. Per entrarvi - e non ci sono altre opzioni per la Macedonia - dobbiamo scendere a patti. Alla fine penso che fare la pace con i vicini e diventare membri di Ue e Nato porterà benefici maggiori del rifiuto di fare questo difficile compromesso, ora messo di fronte agli elettori", aggiunge Maleski.
"Questo accordo è un'imposizione senza precedenti a uno Stato sovrano", replica invece la politologa Biljana Vankovska, prima firmataria di una lettera aperta di oltre 70 influenti studiosi e intellettuali macedoni e stranieri, tra cui lo scrittore Milan Kundera, critica verso gli accordi di Prespa. "La Macedonia - aggiunge Vankovska - non solo dovrebbe cambiare il suo nome a fini internazionali, ma anche per uso interno, una deroga alla sovranità costituzionale. È il Parlamento greco che decide se le correzioni sono soddisfacenti. E anche i costi economici sono enormi per un Paese impoverito". Quali le possibili previsioni sul risultato del referendum? "Tutte le opzioni sono aperte", spiega Maleski, ma "spero che la gente capisca l'importanza del momento, anche se c'è molto cinismo nella politica macedone. Le persone non sono soddisfatte delle condizioni di vita e il paradosso" è che il referendum "è la via per migliorarle, entrando in Ue e Nato attraverso un compromesso". "I sentimenti della gente sono stati manipolati per 30 anni dalla propaganda nazionalista", racconta l'ex ministro. "Vedremo che effetto avrà ciò sul referendum. Si spera che ci sia una nuova generazione che comprende l'importanza di questo passo e la necessità di cambiare la rotta della politica macedone. L'alternativa è una crisi politica".
"Il referendum è in violazione dello stato di diritto e degli standard della Commissione di Venezia ed è difficile che l'affluenza minima venga raggiunta, così che il governo sarà delegittimato", replica invece Vankovska. Che prevede poi che "le tensioni rimarranno, a prescindere dal risultato. La Macedonia post-referendum avrà bisogno di molto tempo per riprendersi. E le promesse di Ue e Nato difficilmente saranno una cura". (ANSA).