- FIRENZE - Durante la Seconda guerra mondiale, nel 1944, il Ponte Vecchio di Firenze non fu risparmiato dalla dinamite nazista per rispetto del Fuhrer alla sua importanza come bene culturale, ma salvato all'ultimo tuffo da un fiorentino: questa la tesi sostenuta nel libro dal titolo 'Di pietra e d'oro. Il Ponte Vecchio di Firenze, sette secoli di storia e di arte' (ed. Maria Cristina de Montemayor), monografia curata da vari autori, tra cui Cristina Acidini, Antonio Natali, Elisabetta Nardinocchi, Lucia Barocchi, Marco Ferri. Il volume è stato presentato nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio.
In base a testimonianze e lettere raccolte nel libro, i tedeschi nella notte tra il 3 e il 4 agosto 1944 sarebbero stati pronti a far esplodere il Ponte Vecchio esattamente come gli altri ponti di Firenze tanto da far sgomberare l'area da tutte le persone che vi si trovavano in quel momento. Due lavoratori delle botteghe orafe, però, in precedenza, avrebbero notato il punto degli allacciamenti per gli esplosivi e di nascosto avrebbero fatto da guastatori, staccando i fili e impedendo così alle bombe di detonare, prima di allontanarsi insieme agli altri fiorentini. Il Ponte Vecchio fu così risparmiato dalla distruzione e nessuno sospettò mai del sabotaggio. Fino al ritrovamento di alcuni documenti, anni fa: studiati e rielaborati, sono diventati a far parte del libro presentato oggi.