di Francesco Pinna
Per il riconoscimento ufficiale bisognerà aspettare l'autopsia. Ma sul fatto che i resti recuperati questa mattina nelle campagne di Ghilarza, a pochi chilometri dal cimitero del paese, siano quelli di Manuel Careddu non ci sono dubbi. Il giovane diciottenne di Macomer è stato barbaramente ucciso sulle sponde del lago Omodeo la notte dell'11 settembre scorso, il giorno della sua scomparsa. Già in carcere per omicidio premeditato e occultamento di cadavere c'è un 'branco' di giovanissimi: tre ventenni di Ghilarza, Christian Fodde, Matteo Satta e Riccardo Carta, un loro compaesano di 17 anni di origine romena, e una ragazza di Abbasanta, anche lei diciasettenne. Nell'ordinanza di fermo - 36 pagine firmate dal procuratore di Oristano Enzio Domenico Basso e dal pm Andrea Chelo - emerge un quadro di ragazzini spietati: pronti ad uccidere per pochi spiccioli. E con un cuore di pietra. Fodde intercettato se la ride mentre commenta con la sua complice il delitto: "Dovevi vedere per credere? Io me la rido perché non me ne frega un c... eh vabbè. Non me ne devi dare soldi perché... è difficile che lo dici". E il giorno dopo con un amico: "Non è un gioco... quello di ammazzare va bene... è il dopo". Pronti anche ad ammazzare ancora: Fodde e la 17enne vengono captati mentre parlano di un loro amico "che sa". "Lo uccidiamo?", chiede la ragazza. Lui risponde: "Mi devo sporcare per un essere... arrivederci...". Spietati, dunque. Lo dimostrano - dicono gli inquirenti - le condizioni in cui è stato trovato il cadavere, gettato in una fossa a pochi metri da una stradina: scheletrito e irriconoscibile. Ma soprattutto fatto a pezzi, probabilmente con una motosega. E sul cranio colpi evidenti di attrezzi da campagna, un piccone e una pala, utilizzati, secondo l'accusa, per ucciderlo. La svolta che ha consentito di ritrovare il cadavere, cercato inutilmente nei giorni scorsi, è stata resa possibile dalle indicazioni fornite ieri pomeriggio da uno dei cinque arrestati. A decidere di seppellirlo proprio lì, sotto qualche pugno di terra, sarebbe stato Christian Fodde, che quel pezzo di campagna ghilarzese lo conosce bene, perché in quella zona ci sono anche i terreni della sua famiglia. Un lavoro fatto probabilmente di notte e comunque alla svelta: non lontano, infatti, ci sono aziende e abitazioni. Farsi trovare a scavare al buio avrebbe compromesso la strategia studiata - dice l'accusa - assieme ai suoi complici per quello che al 'branco' sembrava un delitto perfetto. I cinque, invece, erano finiti nel mirino dei Carabinieri di Ghilarza e di Oristano già nelle ore immediatamente successive alla denuncia della scomparsa di Manuel. A incastrarli sono state poi le frasi pronunciate dentro l'auto del padre di Fodde, utilizzata per tendere la trappola mortale al 18enne e registrate da una microspia piazzata dagli inquirenti nell'ambito di un'altra indagine per omicidio. Quelle frasi, aggiunte ai rumori metallici - per la Procura si tratta di una pala, di un piccone e di una motosega - avevano anche rivelato la brutalità dell'assassinio, confermata dalle ferite riscontrate sul cadavere di Manuel. Ucciso - questa la convinzione degli inquirenti - perché si ostinava a chiedere il pagamento, poche centinaia di euro, degli spinelli che aveva procurato alla minorenne di Abbasanta. E per farseli dare non aveva esitato a presentarsi a casa della ragazza. Uno 'sgarbo' che gli è costata la vita. Sarebbe stata proprio la 17enne a pianificare il delitto insieme a Fodde, compiuto poi materialmente - sempre secondo l'ipotesi accusatoria - dall'altro minorenne. Erano le 22.51 dell'11 settembre: e la microspia registra i singhiozzi di lei, dopo l'omicidio, rimasta sola in macchina ad aspettare.
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