di Vincenzo Garofalo
Cento anni fa, il 25 maggio 1922, nasceva a Sassari Enrico Berlinguer, l'uomo destinato a entrare nella storia del Partito Comunista, che sotto la sua guida toccò il massimo consenso elettorale con il 34,4% nel 1976, e della Repubblica italiana. L'uomo del "compromesso storico" con la Dc, l'uomo che seppe tracciare un solco fra il comunismo italiano e quello sovietico. Su di lui si è scritto e detto tutto, complimenti e critiche. Enzo Biagi di lui disse, "è uno dei pochi politici che mantiene la parola". Roberto Benigni, a una celebre manifestazione del Fgci a Roma nel 1983, lo prese in braccio sul palco, rendendolo, se mai ci fosse stato bisogno, ancora più popolare e umano, e disse, "Questo è un comunista autentico". Un destino scritto dalla nascita quello di Berlinguer, figlio di Mario, avvocato fervente antifascista, compagno di scuola di Palmiro Togliatti e poi senatore socialista. Un destino che il giovane Enrico seppe plasmare con le proprie mani, con il proprio carattere e con una intelligenza politica fuori dal comune.
Dopo la gioventù trascorsa a Sassari, con la maturità conseguita al Liceo Azuni, lo stesso frequentato dai due presidenti della Repubblica, Antonio Segni e Francesco Cossiga, Berlinguer si trasferisce a Roma. Non prima però di essere stato incarcerato per 4 mesi, dal gennaio del 1944 con l'accusa di essere l'istigatore dei moti del pane. A soli 26 anni entra nella direzione del Pci e dopo un solo anno diventa segretario generale della Federazione dei giovani comunisti italiani. La scalata nel partito è tanto rapida quanto meritata: nel 1958 è vice segretario, sotto Togliatti, nel 1960 è responsabile dell'organizzazione del partito, nel 1972 diventa segretario nazionale. Lo rimarrà fino alla sua morte, nel 1984, causata da un ictus durante un comizio a Padova.
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