Dopo quattro ore di Camera di Consiglio la I Sezione penale della Cassazione cala il sipario sulla ventennale vicenda processuale a carico dell'ex senatore Marcello Dell'Utri, confermando la condanna a sette anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. Dell'Utri - agli arresti in Libano dove è piantonato in ospedale dal 12 aprile - ha saputo quasi in tempo reale del passaggio in giudicato dell'accusa che gli ha imputato, da stasera con il 'sigillo' della Suprema Corte, di aver avuto ininterrottamente rapporti con la mafia palermitana dal 1974 al 1992.
"Siamo profondamente delusi da questa decisione - ha commentato a caldo l'avvocato Giuseppe Di Peri, difensore dell'ex senatore - perché riteniamo che ci fosse tutto lo spazio per l'annullamento della condanna. Ora faremo ricorso alla Corte europea di Strasburgo affinché venga valutato se questo processo ha camminato sui binari giusti". Secondo Di Peri, che ha assistito alla lettura del verdetto e che è lo 'storico' difensore di Dell'Utri, la sentenza della Suprema Corte "non cambia nulla per quanto riguarda la richiesta di estradizione: solo il titolo custodiale sarà tramutato in ordine di carcerazione". La Procura di Palermo, infatti, ha subito provveduto ad emetterlo. Di tutto quanto riguarda le procedure avviate in Libano, però, "se ne occupano gli avvocati libanesi".
Di Peri ha avvisato i familiari dell'ex senatore che hanno provveduto, a loro volta, a comunicare a Dell'Utri la 'sconfitta' in Cassazione. La condanna era stata chiesta dal sostituto procuratore generale della Cassazione Aurelio Galasso, che nella sua requisitoria ha detto che l'appello bis, concluso dalla Corte di Palermo il 25 marzo 2013 su rinvio della V Sezione panale della stessa Cassazione, "ha dato risposte adeguate alle lacune motivazionali" presenti nella sentenza di appello di I grado.
Secondo Galasso sono provati dalle dichiarazioni dei 'pentiti' una delle quali con testimonianza diretta e non de relato "i rapporti mai interrotti che Dell'Utri ha avuto con le famiglie mafiose palermitane in favore delle quali ha svolto un ruolo di 'mediatore' nel patto di protezione personale e delle sue attività, 'siglato' nel 1974 da Silvio Berlusconi". Il pg, inoltre, aveva sottolineato come "l'accreditamento di Dell'Utri presso Cosa Nostra era tale che arrivò alle orecchie di Totò Riina il suo scontento per i modi troppo pressanti usati dai fratelli Pullarà" per il rispetto degli accordi sul patto di protezione. "Infatti i Pullarà furono estromessi da Riina per quanto riguarda lo svolgimento di questo incarico", ha proseguito Galasso.
Nella sua arringa Massimo Krogh, l'altro difensore di Dell'Utri in Cassazione, aveva esordito dicendo che Dell'Utri "è un uomo molto provato da 20 anni di indagini a suo carico: non condivido l'iniziativa che ha preso ma la giustifico. Perché può aver perso la testa ed aver commesso una stupidaggine" con riferimento alla 'strada libanese' scelta da Dell'Utri.