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Caos Libia: tragedia in mare con 170 dispersi, aeroporto in mano islamici

Continuano sbarchi e attività soccorso, 20 corpi recuperati

L'ultima tragedia nel Mediterraneo affiora in superficie insieme ai corpi degli ultimi profughi annegati ieri nel mare libico, davanti alle coste di Tripoli. La guardia costiera locale ne ha recuperati una ventina dopo aver salvato 16 persone, ma altre 170 mancano all'appello. Si erano imbarcate nella notte da Guarakouzi, a circa 60 chilometri da Tripoli, ma poco dopo il loro barcone si era rovesciato. Tra loro, somali ed eritrei. Dall'inizio dell'anno potrebbero essere scomparse in mare almeno 2.000 persone - 250 delle quali su un barcone di cui non si hanno notizie da due mesi.

A calcolarlo è don Mussie Zerai, sacerdote di origine eritrea che presiede in Italia l'agenzia Habeshia, che raccoglie e diffonde segnalazioni sulla sorte di migliaia di profughi e migranti finiti nella rete dei trafficanti di esseri umani. Un calcolo, il suo, che si basa proprio sulle segnalazioni - da parte di compagni di viaggio e familiari - di persone che hanno preso il mare e non si trovano più: né nei centri di accoglienza in Italia o in Tunisia, né in quelli di detenzione in Libia. "Il mio numero di telefono ormai lo conoscono tutti - dice - sta persino scritto sui muri dei centri libici: squilla in continuazione, se sono occupato lo affido ad altri". Una delle ultime volte è squillato ieri, quando tramite un satellitare gli è giunto l'Sos da un gommone alla deriva da tre giorni nel Canale di Sicilia, con il motore in panne ed un centinaio di persone a bordo.

Fra loro, quasi tutti eritrei e stremati da fame e sete, anche donne e bambini. Solo uno dei tanti drammatici episodi che si aggiungono alla tragica situazione dei rifugiati rimasti "intrappolati" nel caos della Libia. "Sono somali, eritrei, sudanesi, etiopi - racconta - profughi che fuggono dalle guerre e che in Libia si trovano in mezzo ad un'altra guerra". Dove restano vittime degli scontri oppure sono reclutati dalle milizie come schiavi-portatori di armi, come già accaduto ad oltre 200 sequestrati a Misurata, il cui caso è già stato denunciato dal sacerdote nei giorni scorsi. E' da queste nuove violenze che gli ultimi morti in mare fuggivano, e da una realtà che per le vittime della tratta è ancora peggiore che ai tempi di Gheddafi. Ora anche i miliziani si sono messi nel 'business', segnala don Zerai: un affare che può rendere da 3.000 dollari a persona a cifre ancora più alte, per quelli che, passando via terra dal Sudan alla Libia, vengono "rivenduti" - tra trafficanti, polizia e miliziani - anche fino a cinque volte. Per questi profughi "in trappola" l'agenzia Habeshia ha chiesto più volte alla comunità internazionale un piano di evacuazione, analogo a quelli per gli stranieri bloccati dalla rivolta nel 2011.

E intanto altri continuano a imbarcarsi, con il rischio di morire in mare, oppure a raggiungere le coste italiane anche grazie all'operazione Mare Nostrum. Oggi in 355 sono sbarcati a Pozzallo, in Sicilia, portando a 555 il totale nelle ultime ore (in prevalenza profughi siriani). E altri 470, intercettati dalla Guardia costiera, sono in arrivo a Porto Empedocle. A Pozzallo sono stati fermati i tre presunti scafisti, due dei quali egiziani, dello sbarco di ieri. Uno dei fermati era già stato in Italia cinque volte, sbarcando a Lampedusa, e nel 2013 era stato arrestato. Altri due scafisti, tunisini, sono stati bloccati mentre cercavano di prendere il largo dopo aver fatto sbarcare una ventina di migranti nell'agrigentino. Un centinaio gli scafisti arrestati da inizio anno.

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