Non era una ballerina da prima fila, eppure quando si muoveva incantava tutti con il suo affascinante incedere, ventre in fuori e accentuato dondolio dei fianchi. Rivoluzionò lo spettacolo scendendo dalle scale, circondata da rose Baccarat che lei stessa acquistava a sue spese, cospargendole di profumo Arpège. Vestita di paillettes, ori e strati di crinoline, i capelli ossigenati fino al platino e avvolti nei suoi celebri turbanti di raso. Nelle sue apparizioni era sempre circondata da uno stuolo di boys, di cui hanno fatto parte anche grandi personaggi dello spettacolo a cui portò fortuna. Sono trascorsi 20 anni dalla scomparsa di Wanda Osiris, ma il suo mito prosegue e alla 'divina', a cui perfino Mussolini fece i complimenti, scendendo da una carrozza a Riccione (senza dimenticare che De Pisis le dedicò un ritratto e De Chirico le scarabocchiò il profilo su una tovaglia), Roberta Maresci, giornalista radiofonica e scrittrice specializzata in biografie, dedica un nuovo libro, pubblicato da Cavinato Editore: 'Wanda Osiris - Prima soubrette e donna (con)turbante'. La 'dea' che scendeva dalle scale raccontata dall'autrice percorre una carriera invidiabile all'epoca dei telefoni bianchi, tra paillettes, varietà e rose Baccarat, ma "non fu ballerina, e neppure una cantante eccelsa, eccelleva invece nel 'birignao' - scrive Maresci -. Voleva fare teatro, studiò il violino ma le bastava camminare per incantare tutti". Anna Maria Menzio, questo il vero nome, era figlia del palafreniere battistrada di Umberto I, ma divenne talmente celebre che per lei venne coniato un superlativo assoluto: 'Wandissima'".
Montanelli scrisse che "era l'ultima regina d'Italia". Il cognome d'arte, Osiris, nacque dal matrimonio dei dei egizi Iside e Osiride. "Donna da spolvero" nel 1937, cantava d'amore e fece anche ridere accanto Totò, Bramieri e Vianello. La sua rivoluzione avvenne con Tutte donne, nel 1939, dove comparve la prima scala di venti gradini. La rivista era sontuosa: Wanda usciva da un enorme astuccio di profumo, il corpo tinto di color ocra per avere un aspetto esotico. Una volta scese perfino da un'altalena tra un turbine di polvere d'argento, un'altra arrivava come il sole, vestita di paillettes d'oro, un'altra ancora se ne andava in giro domando uno strascico che un critico definì chilometrico, dato che copriva il palcoscenico e parte dell'orchestra sotto i 36 metri di diametro del suo vestito. L'autrice ricorda il memorabile, grande sodalizio con Macario e Dapporto e attribuisce a Wandissima il merito di aver scoperto talenti dello spettacolo di ieri come Alberto Lionello, Raimondo Vianello, Nino Manfredi, Elio Pandolfi e Renato Rascel, scelti da lei con una selezione severa. Anche le donne che la affiancavano "dovevano essere belle e alte, aver gambe lunghe e vita da vespa. I boys invece li preferiva con l'aria un po' ambigua. Avevano un ruolo preciso: dovevano rappresentare i guardiani dell'harem straordinario". Religiosa e superstiziosa, la divina non sopportava il colore viola e gli uccelli, neppure di stoffa. Ma, improvvisamente, all'apice del successo, Wandissima scelse di scendere per l'ultima volta la copia della scala del Vittoriale e Notre Dame, per tornare a vivere una vita normale con il suo vero nome. Il libro cerca di spiegare lo strano caso dell'artista che non eccelleva in campi specifici, se non in quel modo studiato di arrotare e ampliare le parole in cui solo Tina Lattanzi le stava al passo, e soprattutto, cerca una risposta anche all'abbandono improvviso delle scene. Una risposta forse trovata nei suoi "figli celati", quei tanti bambini "adottati di nascosto" cui rendeva possibile una cura, l'istruzione o un abito che li riscaldava. Erano bambini dell'ospedale di Mongà in Costa d'Avorio dove c'è ancora una targa che ricorda Wanda Osiris.