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A Roma in 30.000 per i Red Hot Chili Peppers

Sembrano tutto tranne che una band che pensa di semmeterla con i concerti

   A vederli sul palco del Postepay Sound Rock in Roma, di fronte a 30mila persone, i Red Hot Chili Peppers sembrano tutto tranne che una band che sta pensando di chiudere con i concerti. Eppure, nei giorni scorsi, le dichiarazioni sulla stanchezza di fare tour così lunghi e faticosi erano state abbastanza chiare.

Anthony Kiedis e Flea hanno quasi 55 anni, Chad Smith un anno in più, e che i tre si facciano delle domande è abbastanza naturale, soprattutto dopo una vita al massimo come la loro. C'è poi la questione John Fusciante, il chitarrista genio riluttante che, dopo un primo addio, un clamoroso e felicissimo ritorno e un altro addio, sembra che abbia ora voglia di tornare di nuovo col gruppo. L'idea, e lo ha detto chiaramente, non ha fatto piacere a Josh Klinghoffer, l'uomo che ha l'ingrato compito di sostituirlo e che, visto che ha 37 anni, è certamente quello più motivato. Ad ogni modo il concerto all'Ippodromo delle Capannelle ha solo dimostrato che i Red Hot Chili Peppers continuano ad essere una travolgente macchina da live. Tutto esaurito (domani si replica a Milano, all'Ippodromo di San Siro), entusiasmo alle stelle e grande musica: che altro chiedere a una notte dell'estate rock? Klinghoffer, che ha anche accennato un brano in italiano, si è inserito bene in una band che ai tempi del primo divorzio da Frusciante aveva praticamente bruciato un vecchio volpone come Dave Navarro.

Lo dimostrano le jam strumentali che arricchiscono la scaletta. La prima fa addirittura da prologo, con Flea, Chad Smith e Klinghoffer a macinare rock e funk come furie prima dell'arrivo in scena di Anthony Kiedis e dell'esplosione di "Can't Stop". La seconda è un virtuosistico gioco a due tra Klinghoffer e Flea. Con gli ultimi due album, "I'm With You" e soprattutto con l'ultimo "The Getaway" il sound della band si è un po' addolcito, virando verso il pop. Ma brani come "Dark Necessities" o "Goodbye Angels", non sfigurano in una scaletta dove ci sono dei titoli bomba come "Dani California", "Under The Bridge", "Californication", "By The Way", e poi comprese le cover di "I Wanna Be Your Dog" degli Stooges, idoli della band, e una versione hendrixiana di "Higher Ground" di Stevie Wonder.

Per non dire del brano manifesto "Give It Away", insuperabile esempio di fusione tra punk e funk uscita da quel "Blood Sugar Sex Magik" che resta non solo il capolavoro dei RHCP ma uno degli album migliori della storia del rock. Flea e Chad Smith sono una delle ritmiche più spettacolari della scena mondiale, due virtuosi dello strumento, con una naturale vocazione allo show. Nonostante i dubbi sulla sua voglia di continuare a fare tournèe, Flea (che si chiama Michael Peter Balzary) sul palco è un folletto impazzito, disegna riff e intricatissime linee di basso saltando e agitandosi senza sosta, Smith ha la tecnica di un batterista da big band jazz, la potenza di un punk e una vis comica degna del suo sosia Will Ferrell.

Anthony Kidis dal canto suo è un atleta del rock: sul funk rap ancora non teme confronti, la tecnica accademica non è il suo forte ma sul palco ha una presenza spettacolare, e poi non è da tutti reggere un volume di fuoco come quello scatenato dalla sua band. Una festa di rock lunga due ore celebrata a Roma, una città che, come dice Sergio Giuliani, fondatore insieme a Maxmiliano Bucci del Postepay Sound Rock in Roma, "è sempre più lontana dall'Europa, soprattutto lontana dai consueti itinerari dei grandi tour internazionali, per questo motivo è stato necessario un duro lavoro per imporre a livello internazionale e rendere competitivo un festival come quello che da anni si svolge all'ippodromo delle Capannelle". Dopo un concerto così, è davvero difficile pensare che i Red Hot Chili Peppers possano smettere davvero di fare tour mondiali. Forse potrebbe giovargli ricordare che i Rolling Stones già trent'anni fa avevano cominciato ad annunciare il loro ultimo tour.   

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