Un direttore per ogni istituto e la gestione divisa in aree funzionali, con un responsabile per le collezioni, lo studio, la ricerca ma anche figure incaricate di occuparsi di marketing e fundraising, piuttosto che dell'amministrazione o della sicurezza. Con in più l'obbligo di dotarsi di uno statuto e di una contabilità certa. Dopo i 20 musei al top, la riforma Franceschini rivoluziona di fatto anche tutti gli altri musei statali, dai più grandi come Castel Sant'Angelo di Roma, con il suo milione di visitatori l'anno, fino al piccolo museo archeologico di Fratta Polesine, il paese natale di Matteotti, dal Museo Archeologico Nazionale di Parma alla Pinacoteca Mus'a al Canopoleno di Sassari, il Museo Paleocristiano di Aquileia.
Tutti, entro l'autunno, avranno un loro direttore. Che sarà un funzionario del ministero, spiega il direttore generale dei Musei per il Mibact Ugo Soragni, scelto non con un bando internazionale come è stato per i 20 musei autonomi, bensì con una selezione interna al Mibact. E la responsabilità delle nomine in questo caso non è del ministro o del dg dei musei, bensì dei responsabili dei Poli Museali Regionali che con la nuova legge hanno sostituito le soprintendenze nella responsabilità dei musei.
Lo statuto, messo a punto di concerto con il direttore del polo regionale, definirà l'identità del museo e stabilirà regole certe per ogni istituto. Ma altrettanto importante è l'introduzione di una contabilità trasparente, che in questo caso non sarà un vero e proprio bilancio, ma un documento contabile che in ogni modo permetterà per la prima volta di rendere chiaro a tutti quanto ogni istituto riceve in termini di risorse e come lo spende. Una cosa che fino ad oggi non esisteva, se non a Brera per iniziativa dell'allora soprintendente Bandera.
Non solo: così come prevede il modello dell'Icom (International Council of Museums) a cui i legislatori si sono ispirati, i musei pubblici italiani, almeno quelli più grandi, si articoleranno in aree di professioni: accanto al direttore dovrà essere nominato cioè, come già succede all'estero, un curatore e conservatore delle collezioni che si occupa anche di studio e ricerca, nonché un responsabile dei rapporti con il pubblico che provvde pure al reperimento dei fondi e al marketing, un responsabile dell'amministrazione, un altro per allestimenti e sicurezza.
Regole che valgono per tutti i musei statali, chiarisce Soragni ( anche se le realtà più piccole non avranno chiaramente sempre bisogno di diversi curatori e anzi in questi casi sarà possibile che un solo direttore abbia la responsabilità di due o anche tre piccoli musei) con però alcuni distinguo. Perché nella lista dei quasi 400 fra musei e luoghi della cultura di proprietà statale ce ne saranno 22, più grandi, come per esempio il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, che godranno di una maggiore indipendenza, con per esempio una contabilità speciale e un potere di spesa del funzionario direttore che potrà firmare al posto del direttore del Polo Museale regionale. Questi 22 musei avranno un bilancio effettivo con risorse assegnate a capitoli di spesa e potranno pagare in proprio le utenze e i lavori di manutenzione ma anche decidere spese per allestimenti e organizzazione di eventi. In pratica una categoria intermedia tra i 20 che hanno ottenuto l'autonomia e tutti gli altri. Nevralgico per tutti i musei non autonomi - fa notare Soragni - il ruolo del direttore del Polo regionale, al quale la legge assegna il compito di costruire nella propria regione una rete museale funzionante trovando in prospettiva accordi anche con le altre istituzioni proprietarie di musei, dagli enti locali alla Chiesa e ai privati. E i direttori dei poli museali regionali avranno un ruolo fondamentale anche per i cosiddetti 'servizi aggiuntivi', stabilendo quali musei del loro territorio dovranno dotarsi di caffetterie piuttosto che di ristoranti o bookshop.
Intanto al ministero si sta lavorando per rivedere il sistema generale di orari e prezzi, vigilanza fino ad oggi regolato da una norma che risale al '93 in gran parte obsoleta. E in prospettiva, in accordo con i sindacati, si punta a rivedere anche i profili professionali. Arrivando per esempio a introdurre quello del direttore di museo. Che oggi non c'è. (ANSA).