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Il nome della rosa, produzione monstre da bestseller di Eco

Sul set a Perugia, su Rai1 8 puntate nel 2019

"Finalmente anche l'Italia si apre al mercato internazionale producendo serie di ampio respiro come 'Il nome della rosa'". A sottolinearlo in una conversazione con l'ANSA è Matteo Levi, produttore originario della serie tv (è lui ad aver acquistato, non senza difficoltà, i diritti del bestseller omonimo di Umberto Eco), a Perugia dove ha ricevuto il Grifone d'oro alla quarta edizione del Love Film Festival.

Alla sua produzione (11 marzo film) si è poi unita la Palomar, mentre i diritti di antenna sono stati ceduti alla Rai e la distribuzione internazionale a Tele Munchen. L'orgoglio di Levi è giustificato, basta guardare a numeri e cast: 21 settimane di girato (siamo alla 17/a); otto puntate di 50 minuti che andranno su Rai1 nell'inverno 2019 e un budget monstre pari a 26 milioni di euro. 'Il nome della rosa', serie tv diretta da Giacomo Battiato, è ovviamente girata in inglese, potendo sfruttare il volano del successo internazionale del romanzo gotico di Eco e ha un cast composto da John Turturro e Rupert Everett, scelti rispettivamente per i ruoli chiave di Guglielmo da Baskerville, monaco francescano del XIV secolo che indaga su una serie di macabri omicidi, e del suo antagonista, l'Inquisitore Bernard Gui.

A questi si aggiungono gli attori Sebastian Koch, (Le Vite degli Altri), James Cosmo e Richard Sammel (Bastardi Senza Gloria) e l'attore tedesco Damien Hardung nei panni di Adso, apprendista di Guglielmo. Sul fronte Italia scendono in campo Fabrizio Bentivoglio, Greta Scarano, Stefano Fresi, Alessio Boni e Piotr Adamczyk (Karol: Un uomo che divenne Papa).

Sul set prima a Cinecittà e in questi giorni a Perugia, la serie tv "sarà abbastanza fedele al romanzo - spiega Levi - che già per la sua lunghezza si prestava alla serialità. Sono state solo sviluppate alcune storie che nel libro erano solo accennate". E ancora Levi, al Love Film Festival che quest'anno ha come madrina Francesca Valtorta, sottolinea come ormai ci sia "un chiaro spostamento produttivo verso l'audiovisivo rispetto al cinema. La serialità - aggiunge - con la sua fidelizzazione segna come il ritorno al romanzo ottocentesco. Una cosa oggi di cui si deve prendere atto".

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