"Dalle elaborazioni emerge un evidente 'eccesso' di mortalità ". Così il direttore del dipartimento per la produzione statistica dell'Istat, Roberto Monducci, in audizione sul Def. "Da un primo esame che ha riguardato 5.069 Comuni" risulta che "il totale dei decessi tra il primo marzo e il 4 di aprile del 2020 è stato, nel complesso, superiore del 41% rispetto a quanto osservato per lo stesso periodo del 2019 (62.667, quando erano 44.583 nel 2019)".
"Dal confronto tra i morti dell'intervallo 1 marzo - 4 aprile del 2020 e del 2019 nei 5.069 Comuni selezionati si rileva una crescita del 44% del numero di casi tra gli ultra65enni, a fronte dell'11% per il complesso delle restanti età , con un divario che penalizza pesantemente la componente maschile: +56% tra gli uomini con almeno 65 anni e 34% tra le donne nella stessa fascia d'età ".
"I 428 mila nati che si erano ipotizzati per il 2020 alle condizioni pre-Covid-19, dovrebbero scendere a circa 426 mila nel bilancio finale, per poi però ridursi a 396 mila, nel caso più sfavorevole, nel 2021". Ecco che il superamento al ribasso del "confine simbolico" dei 400 mila nati annui, "alla luce delle nuove simulazioni", sembra "possibile qualora si realizzasse un rapido raddoppio del tasso di disoccupazione", pur se seguito da una ripresa e da un ritorno ai valori pre-marzo 2020 nell'arco di un biennio.
"Sulla base della classificazione fornita dall'Inail sui diversi gradi di rischiosità dei settori in cui operano, emerge che gli occupati uomini nel 62,9% dei casi lavorano in settori a basso rischio, contro il 37% delle donne", sottolinea il direttore del dipartimento per la produzione statistica dell'Istat, che aggiunge: "I lavoratori che operano nei settori aperti (quelli ancora attivi, ndr) sono molto anziani rispetto alla media, elemento di qualche interesse per le politiche di riapertura". "La quota di occupati nei settori sospesi risulta più bassa all'aumentare dell'età del lavoratore: si passa dal 48,2% degli under24 (circa 522 mila lavoratori) al 24,5% tra gli over55 (1 milione 261 mila)".
Un debito pubblico, in rapporto al Pil, previsto al 155,7% nel 2020, si attesterebbe a un livello che "è stato registrato, a partire dall'Unità d'Italia, solo negli anni immediatamente successivi alla fine della Grande Guerra". Quanto all'indebitamento netto, spiega, "si attesterebbe per il 2020 al 10,4% del Pil, un livello mai più toccato dagli anni che hanno preceduto la firma del trattato di Trattato di Maastricht".
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Alle prestazioni sociali, dal welfare incluse le pensioni alla salute, nel 2019 è andato il 59,1% della spesa pubblica italiana, pari a quasi 479 miliardi destinati a questo capitolo dalle amministrazioni pubbliche
L'importo sale a quasi 508 miliardi se si includono anche le prestazioni erogate da istituzioni private. Lo si legge nel report dell'Istat sulla protezione sociale in Italia e in Europa. Dal 1995 ad oggi, si aggiunge, la spesa per prestazioni sociali è più che raddoppiata e nel 2019 è pari a 2,3 volte quella del 1995.
Dal 1995 ad oggi, si aggiunge, la spesa per prestazioni sociali è più che raddoppiata e nel 2019 è pari a 2,3 volte quella del 1995.
L'istituto ha rilevato anche che la spesa sanitaria nel 2019 è stata pari al 22,7% del totale degli esborsi per prestazioni sociali erogate dal settore pubblico. "A partire dal 2008 il peso della componente sanitaria si è gradualmente ridotto fino a tornare nel 2019 ai livelli degli anni '90".
Le indennità di disoccupazione poi - sempre secondo il report sulla protezione sociale dell'Istat - hanno raggiunto "il livello massimo di spesa nel 2019 (12,6 miliardi)", mentre la spesa per la Cassa integrazione guadagni "è ritornata a livelli molto bassi, analoghi a quelli precedenti la crisi economica del 2009 (849 milioni)". In totale quasi 13,5 miliardi e aggiunge che le indennità di disoccupazione e le spese per la Cig "sono destinate a crescere nel 2020 per effetto dei decreti per il sostegno al reddito dei lavoratori a seguito della chiusura delle attività per l'emergenza Covid-19".
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