Un toppa cinese da 20 miliardi di dollari per calmare i mercati: la mossa di Pechino di immettere un mare di liquidità in un solo giorno ha ottenuto l'effetto di frenare i cali, ma non un vero rimbalzo delle Borse. Dopo il crollo della prima seduta dell'anno, Shanghai e Shenzhen hanno infatti ancora chiuso in ribasso, i listini europei hanno recuperato molto poco, Wall street appare ancora incerta. La tensione in Medio Oriente non aiuta, l'inflazione europea non riparte e gli analisti si fanno ancora la stessa domanda da mesi: ma il governo cinese ci è o ci fa? Perché in pochi capiscono la logica delle mosse di Pechino: prima ha sganciato lo yuan dal dollaro per abbassare le quotazioni della loro moneta e quindi rendere più competitiva l'economia in un periodo nel quale le materie prime costano poco e quindi ci si può permettere una valuta leggera.
Era l'inizio d'agosto: la scelta provocò una tempesta perfetta non solo sulle Borse cinesi, con i listini Usa che accusarono la prima seria correzione al ribasso degli ultimi quattro anni. Sono seguite varie misure della Banca centrale poco chiare, condite da diverse immissione di liquidità per contenere la debolezza dei mercati. Ma sulle Borse asiatiche la turbolenza è continuata, con forte calo dei titoli della moda legati a quei mercati, fino all'ultimo crollo sull'ennesima svalutazione dello yuan. E allora in queste ore è stato necessario comprare attraverso fondi controllati dallo Stato i titoli azionari sui mercati. Infine, secondo quanto le autorità di controllo dei mercati di Pechino avrebbero comunicato, i cinesi si sono rimangiati il divieto alla vendita di azioni da parte dei maggiori investitori, un regola che dovrebbe quindi rimanere valida oltre la scadenza dell'8 gennaio. Qualche indicazione prova a darla Michel Perera, chief investment strategist per Europa, Africa e Medio Oriente di JP Morgan Private Bank.
"Il ritmo di crescita in Cina sta rallentando dato che il governo tenta di bilanciare la propria economia spostando gli investimenti da infrastrutture, manifatturiero e immobiliare verso beni di consumo e servizi, ma il contributo della Cina al Pil mondiale - spiega Perera - non ne ha risentito: è al 13% del totale, nel 2007 era solo al 6%". In ogni caso le Borse europee - dopo aver bruciato oltre 260 miliardi di capitalizzazione nella prima seduta dell'anno - restano caute: il mini rimbalzo è stato inferiore al punto percentuale, tranne che per Piazza Affari che è salita dell'1,2% sostenuta da Finmeccanica, Poste e Fca. Il rialzo è stato frenato anche dai dati sul rialzo dei prezzi: in dicembre a livello europeo è stabile allo 0,2%, in Germania addirittura sotto le stime. L'Europa può comunque "sostenere un misurato rallentamento della Cina - aggiunge il report di JP Morgan - aiutata dalla Bce e dalla crescita in Usa e Regno Unito: se le esportazioni verso la Cina dovessero scendere del 20%, cosa improbabile dato che riteniamo che rimarranno stabili, il Pil dell'area euro segnerebbe un calo contenuto allo 0,2%, mentre una perdita dell'1% del Pil cinese porterebbe a una riduzione di quello europeo compresa tra lo 0,1% e lo 0,2%".