Bolla pronta a sgonfiarsi pericolosamente o nuovo paradigma tecnologico? Bitcoin, o più in generale le criptovalute, dividono il mondo di Davos. Con finanzieri, esperti e politici che hanno visioni completamente diverse, anche se i più concordano: una stretta delle autorità sarà inevitabile. La ha varata la Cina, poi la Corea del Sud e si mettono in coda gli Usa, per bocca del segretario al tesoro Steven Mnuchin: "vogliamo assicurarci che le criptovalute non siano utilizzate per scopi illeciti" e "assicurarci che il resto del mondo abbia lo stesso approccio regolamentare, per rendere i mercati finanziari sicuri". Sul fronte opposto la Svizzera, che punta a diventare una 'cripto.nation' e ha iniziato a studiare da vicino le possibile norme. La stretta è inevitabile anche per il segretario generale dell'Ocse Angel Gurrìa, che invita a distinguere bene fra l'utilissima tecnologia sottostante, il blockchain cui a Davos sono dedicati panel e incontri specifici, e fenomeni più transitori come la febbre del Bitcoin con la sua rovinosa correzione. Christine Lagarde, direttore generale del Fmi che è stato indicato da alcuni come l'istituzione più adatta a fare il 'superpoliziotto' delle criptovalute, non si tira indietro: "da tempo abbiamo iniziato il monitoraggio". Ma sono gli stessi finanzieri e investitori a essere divisi sul futuro delle criptovalute. Larry Fink, a.d. di Blackrock, è convinto si tratti di una innovazione "efficiente dal punto di vista dei costi, affascinante per molti, non dovremmo voltarle le spalle ma trovare una soluzione". Opinione opposta quella di Paul Achleitner, presidente di Deutsche Bank: "le criptovalute hanno alta inflazione e volatilità. E poi perché le banche centrali dovrebbero mai stare a guardare mentre qualcuno fa quello che fanno loro? è un fenomeno limitato, investiamo piuttosto nella tecnologia, lasciamo perdere le mode di breve termine".