(di Francesco Cerri)
(ANSA) - ANKARA, 24 APR - "Non ho più dormito né mangiato,
ero preso da crisi di nervi e da nausea - scrive nel 1915 il
console a Trebisonda Giovanni Gorrini - al tormento di dovere
assistere all'esecuzione di massa di innocenti. Le crudeli cacce
all'uomo, le centinaia di cadaveri sulle strade, donne e bambini
caricati sulle navi e annegati, le deportazioni nel deserto:
sono ricordi che mi tormentano l'anima e quasi fanno perdere la
ragione".
Quella di Gorrini fu una delle poche voci critiche che si
alzarono nell'anno dell'inizio dei massacri per denunciare il
genocidio in atto di centinaia di migliaia di cristiani armeni
ordinato dal governo dei 'Giovani Turchi'. Una strage
programmata, secondo numerosi storici, e scattata nella notte
fra il 24 e il 25 aprile 1915 con l'arresto a Costantinopoli di
250 dirigenti della comunità armena, poi assassinati.
Nell'Impero Ottomano del sultano Abdulhamid II sono al
governo i Giovani Turchi (Cup), i nazionalisti islamici
pan-turchi fautori di una Turchia etnicamente omogenea.
L'influente minoranza armena, 2 milioni di persone, da 3mila
anni radicata soprattutto nelle regioni anatoliche dell'allora
Armenia Occidentale, è un ostacolo al loro progetto di una
"Grande Turchia".
Da un anno è iniziata la Prima Guerra Mondiale, che vede la
Sublime Porta schierata con Germania e Austria. Dopo la prima
grande sconfitta contro la Russia a Sarikamich, nel gennaio
1915, stampa e governo denunciano i "traditori" armeni, accusati
di stare con Mosca. In febbraio il ministro della Guerra, Enver
Pascià, ordina il disarmo di migliaia di soldati armeni. Saranno
destinati prima ai lavori forzati, poi eliminati. Per ordine dei
vertici Cup in aprile scatta l'operazione sterminio, pilotata
dal ministro degli interni, Talaat Bey, e affidata all'
Organizzazione Speciale (Os), formata da mercenari curdi,
emigrati musulmani da Balcani e Caucaso, criminali amnistiati.
"Non dobbiamo preoccuparci di ciò che ci verrà chiesto fra 3-4
anni. Se agiamo con raziocinio e decisione non esisterà più un
problema armeno. Non ci saranno più gli armeni", scrive Enver
Pascià a Talaat Bey.
Da aprile a ottobre inizia la feroce pulizia etnica delle sei
province armene che dura fino al 1916: Van, Erzurum, Bitlis,
Diyarbakir, Sivas, Mamuret ul Aziz. Gli uomini sono uccisi
subito. Centinaia di migliaia di civili devono lasciare case e
proprietà - su cui mettono le mani stato o coloni turchi - e
sono gettati sulle strade della deportazione verso i campi di
concentramento del deserto di Der-Es-Zor, nella Siria ottomana.
Solo fra aprile e ottobre - ricorda su Le Monde Gaidz Minassian
- sono 1,2 milioni. Lungo la strada prosegue lo sterminio.
Massacri collettivi, decapitazioni, stupri, torture. Sono usati
anche vagoni piombati per il bestiame. Migliaia di bambini
cristiani vengono affidati di forza a famiglie musulmane turche.
Foto raccolte dal Centro per la Memoria Armena (Aram) di
Marsiglia mostrano miliziani in posa sorridenti dietro alle
teste degli armeni che hanno decapitato, uomini e donne
impiccati, deportati scheletrici.
Le tecniche usate per lo sterminio prefigurano quanto avverrà
nel Terzo Reich nazista. Per diversi studiosi il genocidio
armeno apre la strada a quello degli ebrei 25 anni dopo. "Siate
duri, spietati, agite più in fretta e più brutalmente degli
altri", disse nel 1939 Adolf Hitler ai capi dell'esercito
citando l'esempio del genocidio armeno, che "il mondo non solo
ha dimenticato ma anche accettato". Per lo storico Howard Sachar
"il Fuehrer citò il genocidio 20 anni dopo che era stato
perpetrato, approvandolo, perché considerava la soluzione armena
come un precedente istruttivo". I responsabili rimasero
impuniti. Alla fine della guerra fuggirono in Germania. (ANSA).