Prima di diventare l'ultimo primo ministro della Ddr, e di trattare con la Repubblica di Bonn le condizioni per una riunficazione tedesca, Lothar de Maiziere faceva l'avvocato. E rievocando nei dettagli l'impresa irripetibile della sua vita, questo signore di 75 anni, che oggi è tornato alla professione legale ed è violista in un quartetto, dice di sé: "Io mi sono sentito l'avvocato della Germania dell'est". "Prima avevo circa 160 mandanti all'anno - racconta in un'intervista concessa all'ANSA a Berlino, nel suo ufficio -. All'improvviso i miei mandanti erano diventati 16 milioni". "Dovevo fare in modo che i diritti dei miei concittadini non fossero calpestati. C'era il rischio – spiega infatti - che la gente dell'Est fosse privata della propria biografia". Fa un esempio, subito. “Per imporre il riconoscimento dei titoli di studio, dovetti infuriarmi! Non vengo con un popolo di analfabeti!”, reagì con l'ovest.
La riunificazione tedesca, che il 3 ottobre compie 25 anni, fu una conseguenza logica della caduta del Muro. Ma ci volle molto lavoro, e fu fatto in pochissimo tempo: 11 mesi in tutto. A de Maiziere, politico dell'Unione cristiano-democratica della Germania dell'Est, che dopo essere stato ministro del governo di transizione di Hans Modrow, vinte le prime elezioni libere nella Germania orientale (il 18 marzo, con un trionfo assegnato dal 48% dei consensi), fu chiamato a guidare l'ultimo esecutivo della DDR - dal 12 aprile al 2 ottobre del 1990 - spettò il compito di trattare con la Repubblica federale di Kohl. "Nella Volkskammer, il Parlamento, in pochi mesi abbiamo varato 164 leggi e io stesso ho promulgato 143 regolamenti. Inoltre elaborammo i tre grandi trattati. Su ogni aspetto della vita quotidiana, che fossero le pensioni, la proprietà o i titoli di studio, si doveva riflettere: com'è e dove va".
"Venivano a prendermi alle 6.30 del mattino e mi portavano a casa intorno alle due di notte", risponde quando gli si chiede della giornata tipo in quei sei mesi straordinari. Aggiunge anche un dato personalissimo, che rende il clima del negoziato: "Prima della riunificazione io pesavo 67 kg. Subito dopo, 51. Andavo avanti a sigarette e caffè. E dormivo pochissimo. Ma soprattutto ricordo la pressione di quella enorme responsabilità".
La partita più difficile restava comunque quella esterna, giocata in prima linea da Kohl: con le potenze che sedevano al tavolo del trattato 2 più 4 . “Mitterand era preoccupato che la Germania riunificata fosse troppo concentrata su se stessa e trascurasse la Comuntà europea. Ma Kohl replicò che, se vi fosse stata una unione monetaria in Europa, questo non sarebbe potuto accadere. Maastricht veniva preconizzato in quella sede. E questo argomento rese più semplice l'ok di Parigi", racconta questo testimone privilegiato delle trattative. Con Londra era più difficile: "Una volta la Thatcher mi ha detto: vi abbiamo sconfitto già due volte, in due guerre mondiali, adesso mettete di nuovo la testa fuori dalla finestra?".
La situazione più complicata era comunque con l'Urss: "Andai a Mosca in veste di premier, e portai con me Angela Merkel, portavoce del mio governo all'epoca. Angela parlava fluentemente il russo e io le chiesi di riferirmi cosa pensava la gente della riunificazione. 'O mio Dio – mi raccontò – dicono che Stalin ha vinto la II guerra mondiale, e Gorbaciov la sta perdendo". Per i russi la divisione della Germania era un trofeo di guerra. “E senza Gorbaciov – aggiunge – non avremmo potuto raggungere la riunificazione”.
Cosa pensava l'Italia? “Gli italiani a mio avviso capirono molto presto che questo evento avrebbe spinto Roma in una posizione più marginale”. Dopo il 3 ottobre del 1990 gli equilibri in Europa cambiarono radicalmente: "da una dimensione verticale si passò a un asse orizzontale nel continente, e se prima l'Italia era fondamentale per ogni decisione in Europa, ora lo era un po' meno”. Con la fine della guerra fredda, aggiunge alla sua analisi, “si smetteva di definire il proprio peso politico nei contra e ci si doveva ridefinire in base al proprio valore. Questo era più difficile. L'Italia tornò ad acquisire la sua dimensione reale”. Nessun complotto franco-tedesco, è la postilla: la penisola paga ancora oggi “le sue contraddizioni interne”.
Sul fronte tedesco, intanto, De Maiziere trattava con Helmut Kohl e con il suo ministro dell'Interno Wolfgang Schaeuble. Se gli si chiede se abbia avuto comprensione per Alexis Tsipras, alle prese col falco di Angela Merkel, la risposta è spiazzante: "Ben più difficile era con Kohl. Lui era un cattolico renano, io un evangelico prussiano. Più diversi non si poteva. Lui era uno storico, pensava in grandi linee. Io un giurista, ragionavo in dettagli. Schaeuble era evangelico e giurista, come me. Ci siamo capiti in modo straordinario".
L'ex primo ministro descrive così la differenza fra il cancelliere e il suo braccio destro: "Kohl pensava di sé di essere lo Stato, Schaeuble si sente al servizio dello Stato. È molto diverso". A Kohl, aggiunge, "non interessava la politica interna". "Lui aveva buoni rapporti con Mitterand, Bush, Gorbaciov. E già pensava di finire nei libri di storia". Nel rapportarsi a lui De Maiziere poteva però contare su un'alleata: "La moglie Hannelore. Una volta mi disse: se ha problemi con lui mi chiami. Io posso parlargli nel weekend e convincerlo. Se però accade che Helmut le telefoni dandole improvvisamente ragione, gli faccia credere che ha deciso lui". Un escamotage servito di tanto in tanto, "Kohl mi chiamava il lunedì e mi sentivo ripetere come se fossero sue, le mie argomentazioni. Grazie ad Hannelore".