Il governo Turco ha varato un decreto per rilasciare circa 38.000 detenuti, presumibilmente - secondo i media - per far spazio nelle carceri del Paese alle circa 35.000 persone arrestate nell'ambito delle indagini sul tentato colpo di Stato dello scorso 15 luglio. Il ministro della Giustizia, Bekir Bozdag, ha spiegato in un tweet che non si tratta di un'amnistia ma di un rilascio condizionato. La misura esclude i detenuti colpevoli di omicidio, violenza domestica, abusi sessuali o reati contro lo Stato.
Il decreto, varato nell'ambito dello stato di emergenza di tre mesi dichiarato nel Paese dopo il fallito golpe, prevede il rilascio di detenuti che devono ancora scontare un massimo di due anni della pena e concede la libertà vigilata ai detenuti che hanno già scontato la metà della pena. Oltre a escludere i detenuti colpevoli di omicidio, violenza domestica, abusi sessuali o reati contro lo Stato, le misure non verranno applicate per reati commessi dopo il primo luglio, escludendo così coloro che sono ritenuti coinvolti nel tentato colpo di Stato. E' stato lo stesso ministro della Giustizia a stimare in un tweet che il decreto porterà al rilascio di circa 38.000 detenuti comuni. Secondo il governo, il fallito golpe è stato organizzato dai seguaci del movimento guidato dall'ex imam Fethullah Gulen, in esilio volontario negli Stati Uniti dal 1999. Gulen respinge le accuse, ma Ankara ne ha chiesto l'estradizione. Finora, circa 35.000 persone sono state fermate per essere interrogate nell'ambito delle indagini sul fallito golpe, di cui oltre 17.000 sono state arrestate e dovranno comparire davanti ai tribunali: tra loro ci sono anche soldati, poliziotti, giudici e giornalisti.
Due ergastoli e 1.900 anni di carcere. Questa la condanna chiesta dalla procura turca per Fethullah Gulen, l'ex imam dal 1999 in esilio volontario negli Stati Uniti considerato l'ispiratore del fallito golpe dello scorso 15 luglio. In contemporanea, continua la purga di massa ordinata dal presidente Tayyip Erdogan contro i presunti simpatizzanti del suo ex alleato: oggi sono stati perquisiti gli uffici di 44 società e aziende a Istanbul, il cuore economico della Turchia, e sono stati spiccati ordini d'arresto contro 120 manager. Secondo le accuse della procura di Usak, Gulen deve essere condannato a due ergastoli "per aver cercato di distruggere l'ordine costituzionale con la forza" e per aver "formato e guidato un gruppo terrorista armato". In 2.500 pagine messe agli atti dal tribunale gli si addebita anche il trasferimento negli Usa, attraverso società di comodo, di denaro ricavato da donazioni e da raccolte di beneficenza 'pilotate'. L'ex imam, 75 anni, bestia nera di Erdogan, ha sempre negato qualunque coinvolgimento nel fallito golpe ma - appoggiandosi anche su precedenti ripetute accuse secondo le quali avrebbe messo in piedi "uno Stato parallelo" soprattutto dopo lo scandalo per corruzione che nel 2013 ha coinvolto il presidente - la procura gli ha contestato anche di aver "infiltrato" le istituzioni e i servizi di informazione della Turchia. Il tutto attraverso una rete capillare di scuole private, fondazioni, società assicurative, aziende, giornali e televisioni organizzata proprio per prendere il controllo del Paese. Banche compiacenti, Gulen le avrebbe trovate in Sudafrica, Emirati Arabi Uniti, Tunisia, Marocco, Giordania e Germania. "Un virus", secondo Erdogan, che avrebbe potuto intaccare l'integrità dello Stato. Da ciò la mannaia che si sta abbattendo su tutte le voci dissidenti in Turchia, una mannaia che, nelle intenzioni del presidente, presto potrebbe assumere effettiva concretezza se "il popolo e il Parlamento" decideranno di introdurre la pena di morte. Un'altra vittima delle purghe, sempre oggi, è stato il giornale filo-curdo 'Ozgur Gundem' accusato di "propaganda terroristica" in quanto "organo mediatico" del Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan, fuorilegge). In un mese sono stati messi i sigilli già a 130 tra giornali, televisioni e radio. 'Ozgur Gundum' è un'altra tappa dell'imbavagliamento di qualsiasi dissidenza e critica. Tanto più pesante visto che i curdi sono l'altra bestia nera di Erdogan: stanno sconfiggendo l'Isis in Iraq e in Siria e pochi giorni fa qui hanno liberato la città di Manbij. Stamane la preoccupazione del ministro degli esteri turco Mevlut Cavusoglu era quella di ricordare alla comunità internazionale, e agli Usa in particolare, che ora i curdi da quella città devono andare via. Lo stesso Cavusoglu della questione ha probabilmente parlato al telefono nel pomeriggio con il segretario di stato americano John Kerry. Andava riproposta la richiesta di estradizione di Gulem - hanno spiegato il media legati al palazzo - e andava preparato il terreno alla visita del 25 luglio del vicepresidente Joe Biden. Visita che già di per sé, secondo Ankara, costituisce un segnale positivo in relazione alla richiesta di estradizione dell'ex imam.