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Midterm, il lungo braccio di ferro per la Casa Bianca - L'ANALISI

Verso le presidenziali 2020. I dem rigenerati ma Trump non molla

Sarà un braccio di ferro lungo due anni, una battaglia senza esclusioni di colpi dall'esito assolutamente imprevedibile. La partita per le presidenziali del 2020 è già iniziata. E' cominciata oggi con democratici tonificati e rigenerati da una vittoria comunque strategica ma anche con un Donald Trump più vispo e motivato che mai.

Il presidente ha perso ai punti ma ha combattuto fino alla fine e ha saputo limitare le perdite là dove molti presidenti prima di lui avevano subito la dura legge del midterm. I democratici scoprono che non hanno soltanto Obama, costretto a scendere in campo fino all'ultimo giorno di campagna, ma anche qualche candidato in pectore che gli può assomigliare molto come Beto O'Rourke e qualcun altro che porta sulle spalle un nome, quello dei Kennedy, capace di riportare emozioni lontane nel campo dei blu.

Con questo scenario, in cui tutti possono trovare il bicchiere mezzo pieno e fingere di ignorare quello mezzo vuoto, inizia la strada che porterà alle elezioni del 2020. Sarà una strada dura per Trump perché il controllo della Camera consentirà ai democratici di bloccare molte iniziative legislative - soprattutto quello nei settori fiscali e del bilancio - e di usare lo spettro dell'impeachment verso un presidente circondato dai guai delle inchieste su di lui e sulla sua famiglia.

Ma sbaglierebbero i democratici a sottovalutare il tycoon prestato alla politica e diventato, inaspettatamente, un lottatore della politica. Nelle ultime settimane di campagna elettorale Trump ha gettato nella mischia tutte le sue armi migliori, ha riportato sotto i repubblicani e ha ridotto lo svantaggio previsto dai sondaggi. E' stato il protagonista assoluto proprio come due anni fa quando, contro tutte le previsioni, entrò trionfalmente al numero 1600 di Pennsylvania Avenue.

Se c'è infatti una conferma che viene da queste elezioni di midterm è la capacità di Trump di 'sentire' il proprio elettorato, dagli operai disoccupati della 'rust belt' ai nazionalisti dell'estremo sud. Non ha parlato di economia anche se sarebbe stato un facile cavallo di battaglia visti i dati positivi sull'occupazione e sulla crescita degli stipendi. Ha continuato a battere sul tema dei migranti annunciando l'arrivo dell'esercito al confine con il Messico, ha mostrato i muscoli all'Iran e a Mosca, decidendo nuove sanzioni contro Teheran e minacciando l'uscita dall'accordo Inf sugli euromisssili. Il messaggio è chiaro: è sempre 'America first'.

I dem hanno ripreso coraggio e possono impostare la campagna dei prossimi due anni, ma devono accelerare il ritorno ai valori di riferimento, sciaguratamente abbandonati come hanno fatto un po' tutte le sinistre nel mondo. E devono ritrovare l' 'empatia' persa con i cittadini americani. O'Rourke incarna queste due caratteristiche e, alla fine, sarà lui il candidato democratico nello scontro con Trump che deciderà il prossimo inquilino della Casa Bianca.

Uno scontro che riguarderà non solo gli Stati Uniti ma tutto il mondo perché in America molto spesso vengono anticipate le tendenze politiche globali. Il voto a favore o contro Trump è stato e sarà sempre, inevitabilmente, un voto a favore o contro il nazionalismo e il populismo. Sarà una lotta sulle contraddizioni profonde dell'America di oggi, sulle sue paure e su quel che resta del sogno americano. Una battaglia tra l'America della 'nuova frontiera' e tra l'America che le frontiere le vuole chiudere.   

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