C'è un momento esatto che segna la fine della latitanza di Cesare Battisti e va rintracciato 3 mesi prima dell'arresto che gli agenti boliviani insieme a quelli dell'Interpol hanno eseguito a Santa Cruz de la Sierra: il 16 ottobre 2018, il giorno in cui l'allora candidato alla presidenza del Brasile Jair Bolsonaro annuncia che in caso di vittoria avrebbe firmato "immediatamente" l'estradizione in Italia dell'ex terrorista dei Pac.
Da quel momento Battisti è diventato 'un sorvegliato speciale' per poi, dopo la sua fuga, finire al centro degli accertamenti della procura generale di Milano e della Polizia con cui sono state messe sotto controllo una serie di persone a lui vicine: un monitoraggio che si è rivelato fondamentale per chiudergli la rete attorno. Grazie a sofisticati software di localizzazione, a un lavoro d'intelligence sul campo e alla costante collaborazione con le autorità boliviane, gli uomini dell'Antiterrorismo, della Criminalpol, dell'Interpol e della Digos di Milano, con il contributo degli 007 dell'Aise, sono riusciti a mettere le manette ai polsi a Battisti.
Lo spartiacque è appunto, il 16 ottobre, con l'annuncio di Bolsonaro, ma il 'monitoraggio' delle utenze vicine a Battisti, in realtà viene intensificato, quando il nuovo uomo forte del Brasile diventa presidente e conferma la sua volontà.
Da quel momento gli investigatori italiani tengono sotto controllo una quindicina tra pc, tablet e telefoni: ci sono i familiari stretti di Battisti, amici brasiliani e persone del suo entourage, compresi alcuni italiani. Con loro, pur tra mille precauzioni, l'ex Pac entra in contatto: nessuna conversazione ma solo con messaggi o attraverso i social. "C'è stata una rete di protezione che lo ha aiutato e sulla quale stiamo facendo accertamenti - ammette il direttore dell'Antiterrorismo Lamberto Giannini -. Essere latitanti implica una serie di spostamenti e contatti, il monitoraggio e la nostra presenza sul territorio ci ha consentito di rintracciarlo e di stargli addosso".
Proprio quei contatti si sono rivelati fondamentali per gli investigatori quando la fuga di Battisti a metà dicembre è diventata ufficiale con l'ordine di arresto firmato giudice del Supremo tribunale federale Luis Fux . In realtà l'ex terrorista del Pac era già scappato "tra la metà e la fine di novembre", ha spiegato una fonte che ha seguito tutte le indagini. Date qualche modo confermate prima di Natale dall'avvocato Igor Tamasauskas: lo aveva sentito l'ultima volta "verso la fine di novembre o forse i primi di dicembre".
Fatto sta che Battisti ha lasciato Cananeia, l'isola sulla costa di San Paolo, la sua ultima residenza, indisturbato: "forse la polizia locale era convinta che avesse aspettato l'estradizione a casa e non ha controllato" è stato sottolineato. Così a 'ritrovarlo' sono stati gli investigatori dall'Italia, proprio grazie al sistema di localizzazione e al monitoraggio delle utenze a lui vicine e a intercettazioni nel frattempo disposte dal sostituto pg Antonio Lamanna e dall'Avvocato Generale Nunzia Gatto. Da qui vengono registrati tutti i suoi movimenti: Battisti passa il confine tra Brasile e Bolivia probabilmente a Corumbà, città di confine nel Mato Grosso do Sul dove era già stato fermato due anni fa. Ma quel che più conta è che a prenderlo arriva una macchina direttamente dalla Bolivia, segno che la 'rete' è estesa anche in quel paese. Vengono così coinvolte le autorità boliviane alle quali quelle italiane girano le utenze telefoniche e le indicazioni necessarie per non perderlo mai di vista. Da qui vengono organizzati pedinamenti per tenerlo costantemente sotto controllo.
Con il passare dei giorni Battisti riduce i contatti e il cerchio si stringe a tre utenze, quelle chiave che consentiranno di individuare con certezza il fuggiasco. Tre giorni fa viene individuato nei pressi dell'aeroporto di La Paz, la capitale boliviana. Poi l'ultima indicazione: Santa Cruz de La Sierra, cittadina nel cuore della Bolivia. Ed è lì che Battisti viene visto camminare tranquillo in jeans e maglietta, occhiali da sole e pizzetto. Una volta bloccato l'ex terrorista prima fa finta di non capire, poi parla portoghese dicendo di non avere i documenti. Portato in caserma, davanti ai poliziotti italiani, capisce che è finita: non gli rimane che tirare fuori dalla tasca il documento brasiliano. Sopra il suo nome stampato.